L’euro è in grande spolvero in questi giorni. Ha toccato la soglia di 1,14 sul dollaro e sembra avere ancora energia da spendere per salire ulteriormente. E già alcuni analisti stanno prevedendo che nella seconda metà dell’anno il suo valore sul dollaro oscillerà tra 1,15 e 1,20. Ma da cosa dipende? In gran parte dal fatto che la Bce sembra apprestarsi alla manovra di tapering, cioè alla fine del piano di acquisto di titoli di Stato e di immissione di grandi flussi di liquidità nel sistema finanziario. Questo dovrebbe implicare meno moneta in giro e quindi moneta più cara.
Ma tutto ciò è anche un riflesso delle condizioni politiche, sia europee che americane, che si riflettono sul cambio euro/dollaro. Infatti, le elezioni in Francia sembrano aver spento ogni possibilità di vittoria in Europa di un partito qualsiasi che sia contrario all’euro. Questo consolidamento politico ha reso anche politicamente più forte la posizione della Bce e il suo progetto eurocentrico. Dall’altra parte, sulla sponda americana, è presto per giudicare le politiche di Trump da un punto di vista economico, ma non si può negare che, da un punto di vista mediatico, sta incontrando molte difficoltà e sembra politicamente meno forte. E visto che la sua è una posizione storicamente contraria all’euro, alla debolezza politica di Trump corrisponde la debolezza del dollaro e la forza dell’euro.
Tutto bene quindi per il progetto euro? Mica tanto. Alcuni giorni fa sono usciti i dati sull’inflazione in Italia per il mese di giugno: in calo dello 0,1% rispetto al mese precedente e in aumento dell’1,2% rispetto a un anno prima, ma il mese precedente era all’1,4%. Insomma, per l’inflazione si mette male. L’indicatore dell’inflazione è un elemento fondamentale per la politica monetaria, secondo i dogmi macroeconomici della Bce. Infatti, l’inflazione è l’indicatore utilizzato per definire un aspetto importante di quella che alla Bce chiamano “crescita”.
Occorre qui un piccola memoria storica. La Bce nasce nel 1998 e all’epoca definisce come suo obiettivo la stabilità dei prezzi, cioè il contrasto all’inflazione, definendo come suo target un’inflazione a un valore prossimo e inferiore al 2%. Per raggiungere questo obiettivo, la Bce nel 1998 aveva raccontato la menzogna che avrebbe aumentato il valore della massa monetaria (per la precisione, dell’aggregato monetario M3) di circa il 4,5% all’anno. Il ragionamento rozzo era che, con il Pil in crescita del 3% (valore medio di quegli anni), aumentando la massa monetaria del 4,5% si dovrebbe avere un’inflazione pari alla differenza dei due valori, cioè l’1,5%.
Non sto qui a ripetere quanto affermato in altri articoli, cioè che dal 2001 fino a quando è scoppiata la crisi (agosto del 2007), la Bce ha completamente infranto quanto aveva promesso, aumentando ogni anno la massa monetaria di percentuali sempre superiori al 6%, fino al folle 12,4% del 2007, ingigantendo così la bolla finanziaria (insieme alla Fed di Greenspann) e preparando il disastro che ancora oggi stiamo vivendo. Quello che qui voglio far notare è che la Bce nasce con il compito strutturale di contenere l’inflazione, non di aumentarla. La Bce ha in mano tutti gli strumenti per contenere l’inflazione, non per aumentarla. Si può dire che anche culturalmente la dottrina che ha dominato in questi anni le istituzioni finanziarie e monetarie internazionali è incapace di aumentare l’inflazione. Il loro scopo strutturale, a favore ovviamente di chi ha il denaro, è quello di contenere l’inflazione, in modo che il denaro non perda valore nelle mani di chi lo detiene.
Se il denaro è forte, a rimetterci ovviamente è chi non ha il denaro, ma ha il lavoro, cioè ha la capacità di lavorare, ma per iniziare la sua attività lavorativa deve iniziare con un finanziamento, con un prestito, in altre parole con un debito. Ora, se il denaro si svaluta, questo ovviamente favorisce il debitore (perché restituirà nel tempo una moneta con meno valore) e sfavorisce il creditore. Questo processo è naturale e pure giusto, perché il denaro può essere creato e viene creato dal nulla, ma il lavoro non può essere creato dal nulla. E poi in un’economia sana il denaro deve favorire il lavoro, non il possessore di denaro. O, per dirla con le parole di Papa Francesco (da me ripetute tante volte, anche perché costantemente ignorate nel dibattito culturale economico di questi anni), “il denaro deve servire e non governare!”. Quello che invece sta accadendo, soprattutto con il dominio della attività della Bce e con la debolezza della politica, è proprio il dominio della massima istituzione che gestisce il denaro, che gestisce la creazione del denaro.
Questo problema non si mette sotto controllo con un rafforzamento della politica, quando, soprattutto a livello europeo, questa è sempre più inevitabilmente lontana dalla popolazione, dagli interessi del popolo perché sempre più in mano ai mostruosi interessi finanziari, proprio quegli interessi che la Bce ha alimentato con la sua politica monetaria folle. Il recente dato sull’inflazione è solo l’ennesima conferma dell’incapacità della Bce di raggiungere quegli obiettivi minimi per lo sviluppo economico; o meglio, della capacità della Bce di favorire sempre e comunque gli interessi della speculazione finanziaria.
Il problema fondamentale della gestione della moneta euro è che si trova nelle mani sbagliate, cioè nelle mani di chi vuol favorire il “governo della moneta”, contro l’interesse e il benessere dei popoli. Per questo sempre più stanno nascendo e si stanno diffondendo sistemi di moneta complementare; si tratta di rispondere a bisogni reali dell’economia e di coprire un vuoto lasciato dalla sparizione delle monete nazionali.