A nessuno è certamente sfuggito l’ottimismo della Banca d’Italia sulla stima del Pil 2017: +1,4% (contro un +0,9% a inizio anno e un +1,3% di previsione aggiornata dopo i dati Istati sul primo trimestre). I dietrologi hanno subito scorto un po’ di partigianeria interessata da parte del governatore Iganzio Visco: il cui mandato di sei anni è in scadenza a novembre, prima del voto politico. A pensare male – un pochino – qualcosa ci si azzecca sempre: certamente un certo “spirito del tempo” nei rapporti fra banchieri centrali e politica.



È di questa settimana un pizzico di ripensamento del capo della Fed, Janet Yellen, sul ritmo del rialzo dei tassi del dollaro. Una mossa che ha leggermemte sorpreso i mercati (peraltro non negativamente), ma non chi ha registrato uno scambio di salve, tutto politico, fra la Fed e la Casa Bianca: la punzecchiatura della democratica Yellen sull’espansione “non sostenibile” del debito pubblico Usa, e le prime mosconate sul nome di Gary Cohn (ex banchiere della Goldman Sachs ora capo dei consiglieri economici di Donald Trump) come possibile presidente della banca centrale americana.



In Europa è tutto politico anche il silenzio solo apparentemente estivo che circonda Bce, Ue e cancellerie. Un silenzio che Mario Draghi ha rotto giusto ieri, ma solo per fissare la data decisa per la ripresa dell’attività comunicativa: soltanto fra cinque settimane, al tradizionale summer summit dei banchieri centrali a Jackson Hole, oltre Atlantico, sulle Montagne Rocciose. È lì che, prevedibilmente, Draghi delineerà la politica monetaria dell’eurozona in autunno: ma parlando senza cravatta a un seminario di economisti, non misurando gli aggettivi di un comunicato al termine di un estenuante consiglio Bce. Tutti attendono una fine dell’espansionismo e un avvio del tapering da parte della Bce, ma tutto verrà certamente calibrato sul momentum politico: la fase finale della campagna elettorale in Germania (con Angela Merkel vincitrice pre-annunciata) e il consolidamento della “nuova Francia” di Emmanuel Macron.



È in quel quadro – ancora in parte indefinito – che inizierà anche la lunga successione a Draghi, formalmente fissata al 2019: un passaggio che il banchiere italiano vorrà quanto più possibile pilotare, prevedibilmente a contrasto della candidatura tedesca di Jens Weidmann, numero uno della Bundesbank. Il quarto presidente della Bce verrà in ogni caso selezionato all’interno di una fase eccezionale: la quasi sicura riscrittura degli Accordi di Maastricht e in particolare della governance economica, monetaria e bancaria dell’Unione europea. La (ri)costruzione del “fiscal compact” (con la nomina di un “ministro delle Finanze europeo”) e la riforma dell’Unione bancaria – dopo i notevoli problemi posti da quella originaria – saranno il campo di confronto/scontro dal quale emergerà anche il successore di Draghi.

Su questo fondo possono apparire marginali le schermaglie interne attorno alla Banca d’Italia: in particolare attorno ai nuovi tentativi di Matteo Renzi di imporre un proprio governatore, trasformando Visco nel primo “imputato” della commissione parlamentare d’inchiesta sui dissesti bancari. È invece probabile che Visco venga riconfermato, grazie all’appoggio del Quirinale di Sergio Mattarella, di Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi e di Pier Carlo Padoan al Mef. E non si tratterà di un sostegno marginale alle battaglie che Draghi affronterà all’Eurotower e dintorni.