Nonostante le recenti dichiarazioni sulla ripresa dell’Eurozona, Mario Draghi ha fatto capire che è ancora presto per il tapering. Contemporaneamente, l’euro continua a rafforzarsi sul dollaro e questo potrebbe rappresentare un problema per le nostre esportazioni. Abbiamo fatto il punto della situazione con Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano.



Professore, cosa ne pensa della “retromarcia” di Draghi?

Probabilmente deve aver realizzato che le sue dichiarazioni incoraggianti sulla ripresa valgono solo per una parte dell’Eurozona. Del resto l’indice che disperatamente ha cercato di far alzare, ovvero il tasso di inflazione, è tornato recentemente a scendere. Ci si aspettava che il Quantitative easing portasse una spinta propulsiva anche ai paesi che hanno ancora una crescita molto lenta, come l’Italia. 



E ciò non sta avvenendo?

Esatto. E sul banco degli imputati ci sono gli Npl. Sui quali è in atto un interessamento da parte di fondi per la loro cartolarizzazione. Il problema è che non bisogna dimenticare che il recupero di un volume così elevato di crediti in sofferenza può avere implicazioni di rilievo, come il pignoramento di immobili e i conseguenti sfratti. 

Le stime sulla crescita dell’Italia sono state però recentemente rialzate.

La timida ripresa che abbiamo avuto è stata dovuta anche al fatto che le spese per beni durevoli che sono state posticipate, come il cambiare l’auto, a un certo punto non erano più rinviabili. C’è da chiedersi però se una volta esaurito questo ciclo di rinnovo di alcuni beni durevoli la ripresa si possa consolidare o meno, vista la domanda interna. Il credito a famiglie e imprese con il Qe non è aumentato come Draghi avrebbe voluto. Il livello della domanda interna è basso, come pure il tasso di inflazione. Contemporaneamente negli Stati Uniti c’è il disordine massimo.



In che senso professore?

Cominciano a esserci dubbi sulla ripresa dettati da alcuni segnali negativi. Per esempio, su tasso di inflazione e vendite al dettaglio. 

È per questo che l’euro si sta apprezzando sul dollaro?

Il punto è che i capitali che dall’Europa erano andati in America, perché i rendimenti avevano cominciato a salire e c’erano buone prospettive di crescita, adesso stanno tornando indietro, anche perché il cambio può “mangiarsi” il rendimento ottenuto. E sta accadendo che l’Europa è diventata interessante, dal punto di vista degli investitori istituzionali americani. 

Questo apprezzamento dell’euro potrebbe rappresentare un problema per l’Italia?

Anche se ultimamente le esportazioni traccheggiano, potremmo veder ridotto anche questo contributo alla ripresa. Anche perché per noi l’apprezzamento dell’euro è un problema maggiore rispetto a quanto non lo sia per la Germania. Ciò in quanto abbiamo una gamma di prodotti che, salvo eccezioni pregevoli, è molto legata al prezzo. Chi invece acquista Audi, Mercedes, ecc., non si scompone più di tanto per un aumento del 5%. Tutto questo ci dice una cosa importante: abbiamo un’Europa a due velocità. Non è un progetto, ma un fatto. 

In che senso è un fatto?

Oltre ai dati che le ho detto prima, io considero importante come indicatore il tasso di disoccupazione, specie giovanile. In Italia resta alto, come pure in paesi “miracolati” come la Spagna. Non così in Germania o in Olanda. La Francia poi registra una diminuzione continua dell’aumento dei consumi. In sintesi, abbiamo un Occidente in affanno. Non sono invece in affanno Cina e India. Probabilmente, e c’è da sperarlo, la loro crescita ci darà dei benefici. 

(Lorenzo Torrisi)