Dobbiamo abituarci non solo all’instabilità endemica e cronica dell’economia mondiale, ma anche all’emergere di una sua stessa configurazione sino a oggi sconosciuta. La prima ragione di tutto ciò è che è apparsa una finanza internazionale completamente nuova rispetto a quella che già, pur diversa dal passato, pareva si fosse stabilizzata con l’avvento della globalizzazione. L’avvento di una banca centrale potente come quella europea, che persegue ormai da molto tempo una politica monetaria totalmente nuova per quantità più che per qualità nei suoi interventi, sta corrodendo alle radici le fondamenta dei rapporti storici tra le monete a livello mondiale. Acquistare sessanta miliardi di euro in titoli di stato al mese, reintroducendo, per esempio, quel rapporto tra banca centrale nazionale e ministero del Tesoro che noi italiani avevamo reciso nel 1981 (il famoso divorzio Banca d’Italia e Tesoro propugnato da Andreatta) non può non avere serie conseguenze.
A prima vista l’acquisto di titoli di stato è foriero di una grande stabilità perché, sempre a prima vista, dovrebbe dare sicurezza tanto agli operatori che agli stati, impedire i disastri bancari, sospingere le banche a dirottare parte delle quantità monetarie verso l’economia reale, ecc. Ma siamo proprio sicuri che accada veramente tutto questo o che invece ciò che accade non produca fenomeni completamente diversi che noi non interpretiamo in forme ancora sufficienti dal punto di vista scientifico e pratico?
È vero: basta una frase smozzicata di Mario Draghi in Portogallo oppure l’annuncio che parteciperà in futuro a una riunione dei banchieri centrali perché si scateni un brusio mass-mediatico senza fine e le borse mondiali diano vita a fibrillazioni simili alle tracce sismografiche dei terremoti. Ma invece, se andiamo bene a vedere i fenomeni di fondo, ne troviamo alcuni di stupefacenti. Si guardi, ad esempio, alla cosiddetta volatilità dei mercati. Non è vero che si sia sempre sulle montagne russe. In verità gli operatori, siano essi investitori o risparmiatori, in linea di massima oggi stanno fermi perché nella continua instabilità non saprebbero bene dove investire: i rischi sono troppo alti e allora è meglio star fermi. Non è un caso che il mainstream, ossia il pensiero dominante, che afferma che andamenti dei prezzi del 2% siano inflazionistici (tanto è giunta la pazzia deflazionistica di un’austerity irragionevole) sia in realtà un comportamento reale che nasconde un’immobilità quasi assoluta degli attori che agiscono sui mercati. Se inondiamo di moneta il mondo del capitalismo finanziario e il suo corpaccione rimane immoto, vuol dire che a rimanere immoti, nell’economia reale, e a essere affetti da una bulimia monetaria senza fine sono appunto gli operatori che continuano ad ammassare masse di liquidità di cui non sanno che farsene, siano essi stati o corporation, o famiglie o singoli individui.
In un mondo dove la velocità di trasmissione dei dati e dei comportamenti è diventata la regola, questo torpore profondo dei prezzi è sconcertante e per certi versi inspiegabile. O forse una ragione c’è: la domanda interna è troppo debole perché il costo di riproduzione della forza di lavoro e degli stessi stock di capitale fisso, grazie alla possibilità di indebitarsi illimitatamente, sono troppo bassi. Anche il valore delle monete, che è sempre un valore fondato sulla reciprocità e comparatività, è diventato a volte inspiegabile. E le spiegazioni che si danno delle variazioni in corso sono troppo superficiali. Vediamo. L’euro sale perché, dopo aver fatto intendere che avrebbe terminato il Qe, Mario Draghi fa capire, attraverso un sistema di ombre cinesi e di dichiarazioni a borse aperte, che esso continuerà. Ed ecco tutti a dire che è per questo che l’euro schizza in alto, mentre, allo stesso tempo, guru dei mass media e delle università di ogni ordine e grado si scatenano nel dire che il dollaro invece scende perché in Usa si investiga sulle corporation e sugli interessi economici del Presidente Donald Trump, indebolendo una moneta che di fatto è il punto archetipale della circolazione monetaria mondiale.
Se l’euro sale gli esportatori in euro dovrebbero esser contenti, ma d’altra parte, nello stesso tempo, coloro che svolgono le transazioni tramite la “moneta archetipale” piangono amare lacrime. Il tutto dimenticando che solo un bambino può credere che il flusso del governo mondiale dipenda dal sistema dei prezzi e dunque dal valore delle monete. Se si trovasse in Italia, in libreria, ancora una copia dei “Principi di economia politica e dell’imposta” di David Ricardo, forse si potrebbe cominciare a pensare da adulti. Ma questo non sembra possibile per un sistema universitario mondiale che si fonda sull’istituto dei crediti didattici e non sulla lettura dei classici, dando così vita a dei cloni umano-manageriali troppo ben pagati che non capiscono davvero più nulla.