Il rapporto sul Mezzogiorno di Confindustria e Srm e un recente studio della Svimez concordano sull’efficacia delle azioni messe in campo dal governo per stimolare le imprese a crescere, innovare e andare all’estero con risultati che cominciano a farsi apprezzare nell’intero Paese e in particolare al Sud. I segnali sono tutti positivi. Ma si tratta di segnali, appunto, e non ci vuole molto che siano positivi perché la posizione di partenza era così arretrata che è bastato fare un passo, per quanto timido, a far risaltare il progresso. Che, comunque, non è tale da consentire il recupero delle posizioni perdute che restano lontane.
La novità è che questa volta gran parte degli attori si sono concentrati sul dato positivo, sul bicchiere mezzo pieno anziché su quello mezzo vuoto, dimostrando che è tornata finalmente la fiducia che qualcosa possa cambiare per davvero. Che sia la volta buona che la strada imboccata non porti al solito vicolo cieco. Confindustria e Srm, più nel dettaglio, informano che l’Indice sintetico dell’economia meridionale – da loro costruito – mostra in rialzo tutti e cinque gli indicatori presi in considerazione: crescono il Pil (trainato dall’industria in senso stretto), il numero delle imprese attive, le società di capitali, le start up innovative e l’export.
La Svimez, che non ha mai fatto sconti a nessuno, assicura che il piano nazionale Industria 4.0 avrà effetti permanenti sul tessuto economico nazionale perché mira a provocare una modifica strutturale del capitale installato, e dunque i benefici non verranno meno se e quando gli incentivi dovessero calare o venire a mancare. È una vera e propria rivoluzione perché forse per la prima volta si sta manovrando sul lato dell’offerta, cioè delle imprese, anziché su quello della domanda, cioè dei consumatori, consentendo che si determini una maggiore capacità competitiva del sistema attraverso la maggiore produttività dell’apparato industriale.
Raggiunto quest’obiettivo aumenterà il Prodotto interno lordo – in altre parole: la ricchezza – con la possibilità che il vantaggio sia ripartito tra gli azionisti e i lavoratori che avranno così più soldi da spendere per far ripartire anche la domanda e innescando quello che si definisce un circolo virtuoso. La Svimez aggiunge che il Mezzogiorno può oggi disporre di una batteria di strumenti davvero considerevole: credito d’imposta, contratti di sviluppo, masterplan, patti con Comuni e Regioni, zone economiche speciali e la previsione che dal 2018 il 34% della spesa pubblica sia destinato ai suoi territori.
Che cosa manca perché il quadro così dipinto sia davvero bello? Manca l’aumento sensibile dell’occupazione. E infatti questa ripresa che tutti i centri di ricerca misurano stenta a farsi riconoscere dalla popolazione perché non porta ancora con sé un percepibile incremento dei posti di lavoro che restano al palo. E allora non resta che impegnarsi su questo fronte più e meglio di quanto finora si sia fatto osando sperimentare una misura che apra le porte delle imprese ai giovani, i più penalizzati, con un progetto che preveda l’azzeramento del cuneo fiscale (in altre parole, un forte abbassamento del costo aziendale) per almeno tre anni.
La coerenza vorrebbe che questa sia la linea da seguire. Per una volta che la ricetta promette di salvare il malato invece che ammazzarlo sarebbe utile.