Le analisi economiche sono il più delle volte caratterizzate da una doppia e illusoria tentazione. Da una parte la volontà di schematizzare, di ridurre tutto a un approccio vicino alle regola della matematica. Dall’altra il tentativo di ingabbiare sempre e comunque la realtà nella dimensione dell’ideologia per dimostrare facilmente tesi precostituite.



Non è facile, nell’orizzonte del pensiero comune largamente condiviso, sfuggire da queste tentazioni, anche perché le cosiddette terze vie rischiano di avere entrambi i difetti. Ancora più difficile è guardare l’economia, senza sfuggire alla realtà concreta dei fenomeni, con la prospettiva di chi mette in primo piano l’integralità della persona in cui non solo si incontrano razionalità ed emozione, ma convergono spiritualità e azione.



È questo il percorso per il quale Luigino Bruni propone alcune “note a margine” in un libro (“La felicità è troppo poco” Pacini editore, pagg. 76, € 10) che anticipa i temi di fondo di un’approfondita analisi del capitalismo che sarà pubblicata nel prossimo autunno. In questo libro ci sono comunque abbastanza spunti da non lasciare tranquillo chi ha a cuore un’analisi costruttiva della realtà attuale. Si parte dalla critica della meritocrazia, sempre più spesso considerata un fattore centrale della crescita sociale, e si arriva alla ricerca di una vera Resurrezione, una Resurrezione che sappia cogliere il valore della sconfitta, del Calvario, delle ferite.



Nel pensiero di Bruni non ci sono salti logici e nemmeno la volontà di confondere i valori materiali con quelli spirituali. Anzi. Si ritrova in queste pagine la volontà di aprire gli orizzonti a un’economia che sappia essere segno di civiltà in tutti i suoi aspetti, ritrovando nella loro essenzialità parole come dono, gratuità, partecipazione. Così come ci sono elementi di aperta e costruttiva provocazione. Per esempio, invitando a considerare il modello positivo del mondo vegetale, caratterizzato insieme da vulnerabilità e resilienza, rispetto al mondo animale dove esiste “una forte divisione funzionale del lavoro e un ordine gerarchico”. 

Ed è significativo l’esempio che viene proposto. “Nel nostro modello di sviluppo – scrive Bruni – soprattutto in Europa abbiamo conosciuto e conosciamo imprese organizzate secondo il paradigma vegetale: sono le cooperative. La forza della cooperazione consiste nell’aver sviluppato una distribuzione delle funzioni in tutto il corpo rinunciando alla rigida organizzazione gerarchica per attivare l’intera compagine sociale. Le cooperative hanno imparato a respirare, sentire, decidere con tutto il loro corpo e lo hanno fatto ripensando i diritti di proprietà dell’impresa e il suo governo”.

All’interno del grande processo dell’economia, con i suoi diversi modelli di capitalismo, con la forza dirompente dell’innovazione, con i nuovi scenari degli scambi globali, appare allora molto utile riflettere sul modo di guardare le cose, riscoprire gli elementi positivi che nel passato abbiamo saputo costruire, di rifondare anche nelle sconfitte la forza di riproporre prospettive di speranza. Perché si possono vedere i segni di come sia possibile uscire dalle strette di un pensiero unico che vede nella competizione l’unico paradigma e la disuguaglianza l’inevitabile conseguenza.