Il valore di cambio dell’euro contro il dollaro tende a crescere troppo rapidamente – sta puntando verso l’1,20 – e ciò getta un’ombra sulle prospettive dell’export italiano e l’importazione di turismo extraeuropeo. La ripresa dell’economia italiana è trainata non da riforme di efficienza del modello, ma dalla politica monetaria super-espansiva della Bce: sostegno di fiducia esterno al debito italiano, riducendone i costi di rifinanziamento, e, soprattutto, svalutazione competitiva dell’euro.
Mario Draghi ha tentato di convincere i mercati finanziari che la postura espansiva della Bce resterà per almeno due anni, tempo previsto per riportare l’inflazione vicino al 2% dall’1,4% attuale, che è l’obiettivo statutario di stabilità della Bce stessa. Tale previsione è credibile perché i due fattori principali che alzano l’inflazione sono energia importata e salari. Il petrolio tende a restare basso per eccesso di offerta globale sulla domanda e i salari in euro sono piatti. Il mercato, tuttavia, vede una crescita europea superiore a quella americana, prevede che la politica monetaria statunitense resterà espansiva deprimendo il dollaro, dubita che Trump riuscirà a far passare la mega-riforma fiscale promessa, “annusa” che la Germania dopo le elezioni di settembre premerà sulla Bce per un rialzo dei tassi e per la fine dell’acquisto di titoli di debito.
In sintesi, vede l’euro in rialzo. Gli analisti economici con un occhio alla geopolitica, poi, prevedono che un rialzo dell’euro è sostenuto da Berlino per non farsi imputare da Washington di competizione valutaria sleale – l’export tedesco è meno sensibile al cambio – e così evitare dazi selettivi.
Dobbiamo temere per gli interessi italiani? Se il cambio sale, allora l’inflazione importata – in particolare l’energia prezzata in dollari – resterà bassa e ciò permetterebbe di mantenere più a lungo il programma Bce di acquisto dei debiti che, di fatto, garantisce quello italiano, e la stabilità di tutto il sistema finanziario nazionale, altrimenti oggetto di attacchi speculativi perché non sostenuto da crescita sufficiente. Ma senza un cambio favorevole l’export e il turismo italiani potrebbero contribuire di meno al Pil, considerando che la crescita autonoma del mercato interno è irrisoria.
In tale scenario ambiguo si può solo inferire che se nel 2018 la politica economica italiana non toglierà i freni alla crescita, tagliando sostanzialmente tasse, spesa pubblica e almeno un po’ di debito, saranno guai.