Prima le revisioni al rialzo sulla crescita del Fmi e, ora, addirittura la Grecia che torna sul mercato dei capitali: è un’Europa in spolvero! Già, perché ieri – dopo tre anni – l’agenzia del debito greco ha avviato il collocamento di un nuovo bond quinquennale, con scadenza agosto 2022, le cui indicazioni iniziali di rendimento si attestano in area 4,875%. L’emissione è soggetta alle condizioni di mercato e all’esito della contemporanea operazione di concambio e riacquisto lanciata da Atene: contestualmente, infatti, sarà riacquistato per cassa il bond con scadenza aprile 2019 (cedola 4,75%) al prezzo di 102,6. L’estensione della maturity è vista come un segnale di fiducia e un modo per gestire i pagamenti del debito pubblico che scadranno nel 2019. E l’operazione è così attesa che lunedì il Tesoro ellenico ha incaricato nientemeno che Bnp Paribas, Bank of America, Merrill Lynch, Citigroup, Deutsche Bank e Hsbc di gestire l’operazione. Roba forte, insomma. Un gran bel segnale. 



La decisione di Atene è arrivata dopo che, a inizio mese, la Grecia ha potuto contare sul pagamento degli 8,5 miliardi di euro dell’ultima tranche di prestiti del piano di salvataggio europeo. Formalmente, il momento di agire è quello giusto, visto che il mercato internazionale dei bond si è stabilizzato e gli investitori sono in cerca di titoli redditizi, in uno scenario caratterizzato dai tassi negativi decisi dalla Bce: «La tempistica del ritorno della Grecia dopo tre anni sul mercato obbligazionario è favorevole da un punto di vista sia macroeconomico che di mercato», ha affermato Antonio Garcia Pascual, economista di Barclays. Di più, venerdì scorso Standard & Poor’s ha rivisto da stabile a positivo l’outlook sul rating sovrano B- dei titoli di Stato ellenici, (mentre è Caa2 con outlook positivo per Moody’s, B- con outlook positivo per S&P’s, CCC per Fitch e CCC high con outlook stabile per Dbrs), portando lo spread con il Bund a quota 476,4 punti base. 



Immagino che vi stiate chiedendo dove sia la fregatura? Fate bene, cominciamo con questo grafico, relativo all’andamento recente del prezzo del bond 2019 oggetto del riacquisto da parte di Atene con cedola 4,75%: si tratta dello stesso bond emesso nel 2014, il cui prezzo oggi è attorno a 102,6. Come notate dal grafico, però, nelle ultime settimane il prezzo di quella carta è salito, mentre il rendimento è calato di quasi 15 punti base: come mai quei movimenti, qualcuno sapeva delle intenzioni di Atene, tanto da muovere il prezzo di riacquisto di quasi il 30% tra fixing e annuncio? Strane dinamiche, soprattutto perché parliamo di un mondo scollegato dalla realtà: il bond greco a 10 anni oggi garantisce un rendimento del 5,25%, mentre nel 2012 quella carta prezzava qualcosa come il 44,21%. È cambiato qualcosa nel frattempo? No, solo che formalmente la Grecia non è fallita e non ha abbandonato l’eurozona, ma il suo debito rimane insostenibile e le tranche di “aiuti” servono in realtà soltanto a ripagare il servizio del debito contratto. Cosa comporta la mossa del governo Tsipras? Il tentativo di creare un cuscinetto cash per uscire proprio dal nodo scorsoio del piano di salvataggio, il quale scade formalmente nell’agosto del 2018: ecco spiegato quel regalo a chi rivenderà il bond 2019 ad Atene, la disperazione è la guida maestra. 



Se infatti gli analisti festeggiano il ritorno di Atene sui mercati, si scordano di dire che questa mossa non è nient’altro che l’extrema ratio dopo essersi visti negata la riduzione del carico debitorio (fondamentale se si vuole ripartire davvero) e l’inclusione dei bond ellenici nel programma di acquisto della Bce. In parole povere, stiamo festeggiando con le grancasse il fatto di essere tornati al punto di partenza: ovvero, mascherare l’oggettiva insostenibilità del debito greco, facendo felici gli investitori obbligazionari con un 4% di yield che si tramuterà in miliardi che dalle casse di Atene sono destinati a sparire alla velocità della luce. D’altronde, Tsipras sa una cosa: quando realmente si arriverà al redde rationem su quel debito in scadenza, il problema sarà di qualcun altro. Quindi, meglio dar vita a operazioni demagogiche e populiste, tanto per cercare di rimettere un po’ in sesto il proprio profilo politico. Ma è tutta un’enorme mascherata. 

Anche in Italia. È di ieri il dato che il fatturato dell’industria a maggio segna un significativo aumento rispetto ad aprile, +1,5%, che porta il dato annuo al +7,6%, la crescita più alta da dicembre scorso. Lo rileva l’Istat, parlando di «risultati ampiamente positivi». Forte anche l’incremento degli ordinativi: +4,3% sul mese e +13,7% (in termini grezzi) su base annua, tanto che per trovare un balzo maggiore delle commesse occorre tornare indietro ad agosto del 2016. L’andamento congiunturale del fatturato a maggio, sottolinea l’Istat, è dovuto a incrementi sia sul mercato interno (+1,6%), sia su quello estero (+1,2%). Inoltre, anche per gli ordinativi, entrambi i mercati registrano incrementi (+3,9% l’interno e +4,9% l’estero). Lo stesso vale su base annua, dove però gli aumenti più decisi si evidenziano oltreconfine (per le vendite +6,7% all’interno e +9,3% fuori; per gli ordini +12,1% sul mercato nazionale e +16,2% all’estero). Le commesse mettono così a segno un rimbalzo dopo un aprile in negativo: la performance dei ricavi è in linea con il buon risultato della produzione industriale di maggio, mentre l’exploit degli ordinativi fa ben sperare per i prossimi mesi (gli analisti tendono infatti a considerarlo un dato anticipatore). 

Guardando ai singoli settori, l’indice del fatturato corretto per gli effetti di calendario, segna gli incrementi annui più significativi per la metallurgia (+14,1%), la fabbricazione di computer, prodotti di elettronica e ottica, apparecchi elettromedicali, apparecchi di misurazione e orologi (+12,1%) e per la fabbricazione di mezzi di trasporto (+10,9%). Gli ordinativi mostrano invece incrementi particolarmente rilevanti per la fabbricazione di mezzi di trasporto (+19,5%) e la fabbricazione di macchinari e attrezzature(+18,8%). Insomma, tanto estero in questo dato così incoraggiante. 

Ed estero cosa significa? Euro competitivo. E come è andata ieri, sul fronte dei cambi? Ancora in lieve rimonta l’euro sul dollaro, sotto pressione alla vigilia della decisione di questa sera della Fed su un rialzo o meno dei tassi d’interesse (gli investitori scommettono però in un rinvio a settembre). Dopo aver raggiunto lunedì 1,1684 nei confronti del biglietto verde, ossia il livello più alto dall’agosto 2015, la moneta unica ieri in apertura di contrattazioni veniva scambiata a 1,1652. Inoltre, sempre ieri l’ottimismo degli investitori nei confronti dell’Eurozona è stato alimentato dall’indice Ifo tedesco, volato a 116 punti, oltre le attese. 

Tutto in mano alla Fed stasera, se si parla di interventi che possano frenare la corsa dell’euro, +11% sul dollaro da inizio anno? In parte sì, almeno sul breve periodo. Ma la realtà dell’euro, dell’eurozona e delle prospettive di crescita (quelle reali) stanno tutte e soltanto in questo grafico che definire inquietante è dir poco. Al netto degli spread sovrani e delle emissioni farsa in Grecia, il vero game-changer della situazione è stata la decisione – disperata – di Mario Draghi di includere i bond corporate, di fatto con ogni rating di credito, nel novero degli acquisti in seno al Qe: il dato dei rendimenti richiesti alle emissione high-yield non finanziarie, ovvero le aziende del comparto utilities ad esempio, è spaventoso. Costi di finanziamento e di servizio dello stesso praticamente a zero, tutto garantito da mamma Bce. 

Ecco, quindi, l’unica domanda da porsi: possiamo correre il rischio di un combinato congiunto di euro sopra 1,20 entro l’autunno e percezione del mercato della fine degli acquisti di bond aziendali a nastro di Draghi? No, alla faccia delle revisioni del Fmi. Stiamo ballando come invasati sul Titanic, ma l’acqua ormai è già in terza classe: se non succede rapidamente qualcosa che inneschi un reverse, scordatevi altri dati record dell’industria come quelli di aprile. E preparatevi a una serie di potenziali default di massa, evitati soltanto dalla volontà della Bce di tenere in pancia fino a maturazione i bond corporate acquistati. Dopodiché, però, sarà il deserto. E quando le aziende busseranno alle banche per finanziarsi, essendo finita la festa Bce, la realtà tornerà al timone. Ma l’iceberg sarà ormai troppo vicino.