C’erano una volta – quando ancora esisteva una “finanza italiana” – gli inizi d’estate di sonnolenza rovente: in attesa di qualche colpo di scena, non infrequente fra luglio e agosto. Lo fu – 35 anni fa – il crack del Banco Ambrosiano, molto evocato in questi giorni a proposito del dissesto-salvataggio della Popolari venete.
Allora la Cattolica del Veneto – che aveva sede a Vicenza – fece in qualche modo da piedistallo per la messa in sicurezza del Nuovo Banco Ambrosiano e da pietra miliare per la lunga marcia del gruppo che oggi si chiama Intesa Sanpaolo: e che ha appena salvato la Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Una “nemesi” virtuale e rovesciata, ma fino a un certo punto.
Allora al debutto, ora quasi ritirato, Giovanni Bazoli occupa la scena: come eminenza grigia di Intesa – da lui stesso battezzata un decennio fa “banca di sistema” – e come bersaglio di un’offensiva della Procura di Bergamo per il suo ruolo in Ubi Banca (a sua volta protagonista del salvataggio di Banca Etruria e Banca Marche). Il mix di finanza e politica rimane ad alta gradazione: con tutti i risvolti già messi sotto pressione dalla campagna elettorale interna e dalle grandi manovre in Europa.
La centralità di Intesa – certamente banca di riferimento per il governo Renzi e per il centrosinistra – è stata una costante degli ultimi dodici mesi: iniziati con l’Opas di Urbano Cairo su Rcs (un successo finanziario prima e industriale poi); con il tentativo di offerta di Intesa sulle Generali (una bruciante battuta d’arresto, contraccolpo di quella accusata da Renzi al referendum) e quindi l’intervento sulle Popolari venete: affermazione tattica e politica (aiuto a un esecutivo in totale emergenza bancaria, apparentemente a costo zero) con prospettive di ulteriore rafforzamento strategico
Nell’attesa, il copione tradizionale delle estati di Piazza Affari impone attenzione alle mosse di Mediobanca: un tempo regina dei grandi deal, bancari e non, da almeno quattro anni ai margini dello scacchiere. Da un lato la ricaduta recessiva della crisi finanziaria ha inaridito il mercato, dall’altro proprio l’egemonia insistita di Intesa di “sistema” sembra aver chiuso Mediobanca nell’angolo. Netta la sconfitta su Rcs (su cui Piazzetta Cuccia aveva tentato una controfferta), forzata l’assenza dai tavoli del riassetto bancario (nonostante un ruolo iniziale in Mps): l’istituto è parso soffrire anche il turnaround di UniCredit (dove Jean Pierre Mustier vuole esercitare il suo ruolo di primo azonista), nonché l’impegno diretto di Vincent Bolloré in Telecom, Mediaset e Generali.
Da tempo osservatori e analisti si aspettano una contromossa strategica che riprenda un evergreen della Milano finanziaria, in qualsiasi stagione. Un riordino che impegni UniCredit, Mediobanca e Generali, tutte e tre per molte ragioni in cerca d’autore, ormai a quasi un ventennio dalla scomparsa di Enrico Cuccia e dalla defenestrazione del delfino Vincenzo Maranghi, potrebbe restituire vigore e dinamismo a un sistema bancario nazionale che da troppi anni fa notizia solo per le crisi e per gli interminabili bracci di ferro sulel soluzioni. Fra la “liquidazione ordinata” delle Popolari venete e l’avvicinamento ancora “disordinato”alle elezioni politiche il clima non è impropizio.