Dopo l’ultima conferenza di Draghi, una cosa per ora è chiara: per ora ha ancora in testa l’elmetto da pompiere. Cioè il tanto atteso “tapering”, ovvero la progressiva chiusura del rubinetto della liquidità da parte della Bce, è ancora tutto da stabilire. Nonostante lo stesso Draghi abbia affermato che “stiamo finalmente sperimentando una ripresa duratura”, un innalzamento dei tassi ora non si può proprio fare. E questo la dice lunga sulla presunta verità di questa frase: dove si vede questa ripresa, solo lui lo sa. Se lo sguardo bisogna posarlo sull’intera Europa e non solo sulla Germania, si vedrà che le banche più grandi continuano a fare speculazione finanziaria pericolosa, che il peso dei crediti inesigibili è tutt’ora pesante e che il tasso di disoccupazione continua a essere rilevante. Non solo vi sono banche che vengono acquistate per un euro (sia in Italia che in Spagna, seppur in condizioni molto differenti), ma pure la Grecia continua ad aver bisogno di prestiti.



Affinché la riduzione di liquidità non abbia effetti collaterali dannosi, occorre inflazione. Ma questa è molto differente tra, per esempio, Germania e Italia. La disoccupazione tedesca è inferiore al 5%, mentre quella italiana è superiore all’11%. In queste condizioni, una restrizione della liquidità avrebbe immediati riflessi sugli interessi dei titoli di Stato, con ovvie conseguenze sul debito prossimo venturo. Insomma, un disastro. Ma come mai la liquidità della Bce non ha avuto esiti sulla disoccupazione? Per diversi motivi, già da me spiegati in passato. Qui voglio riassumerne i principali.



Innanzitutto, come spiegato da Draghi in diverse occasioni, la Bce non ha il compito della crescita o dell’occupazione, ma della stabilità dei prezzi, fissata con un’inflazione prossima al 2%. Già questo spiega molto, anche se non spiega perché comunque la Bce ha fallito pure questo obiettivo. La spiegazione più acuta l’hanno data tre ricercatori italiani di Bankitalia, che nel 2007, cioè prima dello scoppio della crisi e quindi in tempi non sospetti, si chiedevano come mai, con l’eccesso di moneta prodotto dalla Bce, non si osservasse inflazione. E la loro risposta è stata che non si vedeva inflazione perché l’eccesso di moneta prodotto dalla Bce finiva nei mercati finanziari e non a famiglie e imprese.



Questi studi sono anche mostrati da alcuni dati e grafici. Ma ora devo fare una premessa ai miei lettori. In un momento storico in cui la norma, soprattutto nei media ufficiali, è la menzogna, per trovare la verità o brandelli di essa occorre fare un lavoro di ricerca presso siti minori, che però aiutano a comprendere come stanno le cose, anche in settori molto differenti. Tra i miei preferiti ci sono www.attivitasolare.com e www.climatemonitor.it, siti che trattano prevalentemente argomenti climatici e che io utilizzo anche per le dinamiche macroeconomiche correlate (per esempio, la produzione di materie prime alimentari, che dipendono fortemente dalle condizioni climatiche).

Leggendo questi siti, si trova una strana “sintonia”: anche qui si trovano notizie che sono completamente oscurate dai media principali, perché in contrasto con la narrativa oggi dominante. E quindi, mentre il racconto dominante oggi sul clima è quello di un riscaldamento globale causato dall’uomo, in realtà stiamo andando incontro ad anni molto freddi a causa della ridotta attività solare (e forse una piccola era glaciale, della durata di diversi decenni). Ma torniamo ai temi economici. In un recente articolo, riportato da entrambi i siti, viene mostrata un’interessante correlazione tra la crescita dei bilanci delle banche centrali e la capitalizzazione delle principali aziende di tecnologia ed e-commerce. L’indice in verde, denominato “FANG Stocks”, è quello di Facebook, Amazon, Netflix e Google. Quello in rosso è quello dell’indice statunitense SP500 (tolte le aziende citate), mentre quello in blu è il bilancio delle tre maggiori banche centrali, la Fed, la Bce e BOJ (Bank of Japan).

Intanto nella prima parte si vede come il denaro facile delle banche centrali ha comunque finanziato le maggiori aziende (presenti in borsa) e i mercati finanziari. Ma in questi ultimi mesi stanno finanziando principalmente le società tecnologiche o che fanno un uso intenso di tecnologia. E quindi iniziano a perderci le aziende produttrici di beni reali. In questo scenario tocca ancora sentire le sciocchezze ripetute dal presidente dell’Inps, Tito Boeri, con la storiella che gli immigrati ci stanno pagando le pensioni, solo perché versano otto miliardi di contributi e ne percepiscono tre. Ma la prima domandina è semplicemente questa: quanti immigrati pensionati o percettori di contributi ci possono essere in Italia, visto che il fenomeno dell’immigrazione è relativamente recente? Ovviamente pochi, rispetto ai contribuenti. E la seconda domandina è la seguente: quando questi immigrati, che oggi sono contribuenti, diverranno pensionati, come pagheremo le loro pensioni? Con nuovi immigrati? Cioè dovremmo sperare in nuove guerre o nuovi disastri umanitari per mantenere in equilibrio il bilancio delle pensioni?

La realtà è molto più semplice e cruda: se non c’è crescita demografica, o almeno equilibrio demografico, non ci può essere un equilibrio di bilancio. In altre parole, il calo demografico andrà di pari passo con il calo economico e finanziario. E se a questo aggiungiamo l’utilizzo di una moneta che è solo debito, il risultato di un collasso finanziario verrà certamente e inevitabilmente raggiunto.