Capita soltanto ai grandi, quelli veramente grandi, la coralità di rimpianti che sta accompagnando la scomparsa di Paolo Villaggio. Ma come sempre, quando si diventa “classici” ancora in vita, è difficile essere ricordati per una cosa in particolare, per una particolare capacità, intuizione, invenzione. Ci si sperde di fronte alla grandezza, e si celebra tutto.
Un analista di cose economiche dovrebbe invece soprattutto ricordare, di Villaggio e del suo alter ego Fantozzi – e in qualche modo predicare in loro vece da oggi in poi-, la straordinaria critica del potere che la sua satira contiene. Tutti ci ricordiamo di Fantozzi, ma ricordiamoci per favore anche del Conte Catellani, il suo disumano capo-azienda, Direttore dell’Ufficio raccomandazioni.
La satira della leadership che, come un calco, emerge dal personaggio di Fantozzi e del fantozzismo è immortale. Ed è di attualità straordinaria, in questi anni dolenti dove si insegue, tutti, un’equivoca chimera di leaderismo semplificatore, in politica come in economia. Negli anni del “ceo-capitalism”, dove in azienda esiste un solo dio, ricordarsi di quanto sia stupido, volgare, greve e controproducente il capo assoluto totipotente che nella realtà quotidiana, spesso a un metro da noi, oggi continua a essere ossequiato, adulato e leccato è fondamentale. Ed è fondamentale di quanto questa figura sia in realtà nociva all’interesse collettivo, in definitiva al bene aziendale, deprimendo la creatività e l’iniziativa individuale per la pretesa di canalizzarla nel solco del suo “pensiero unico”.
Ed è fondamentale il pur microscopio eroismo di Fantozzi, che nella sua nullità comunque conserva in sé il germe del dissenso e della rivolta, sostenuto da un residuo di amor proprio che anche da perdente qual è lo spinge comunque a ribellarsi. Celeberrima la scena del biliardo, in cui il Ragionier Ugo si costringe ad accettare di perdere contro Catellani, che lo ha sfidato in pubblico per umiliarlo come punizione per non aver adeguatamente omaggiato la statua della madre, finché quando sta per raggiungersi il punteggio della disfatta, scatta in lui l’istinto della rivolta e con una serie di colpi da manuale, raggiunge e sorpassa il suo aguzzino.
Una rivincita senza prezzo, eppure costosissima: fa rischiare l’ostracismo, le angherie, le punizioni trasversali più ciniche. E infatti quanti oggi in azienda – magari a calcetto, magari in una conversazione finto-rilassata col capo – se la sentirebbero di prevalere, sapendo con questo di urtare la suscettibilità dell’uomo che ha il potere di concedere o negare le ferie, o il premio di produzione di fine anno? E ancora; quanti fingono di divertirsi alle battute melense di un capo narcisista? Quanti dispensano elogi per farsi notare, come i dipendenti della megaditta al passaggio in sala mensa del Conte Catellani: “È un bel direttore! Sì, è una meravigliosa persona, è un santo, un apostolo! Evviva il nostro direttore!”. Quanti osano contrastare il pensiero unico che promana nelle aziende dal Numero Uno anche riguardo a temi o argomenti che nulla hanno a che vedere col lavoro, come la scelta di un film per il Cral aziendale, la mitica “Corazzata Potemkin” che solo Fantozzi – altra storica rivincita morale! – osa definire come tutti i colleghi in cuor loro la consideravano, pur applaudendola per assecondare il Capo: “Per me, è una cagata pazzesca!”.
Il leaderismo e il suo complemento sociale, l’ossequienza, sono il male oscuro del turbocapitalismo di oggi e dei continui tentativi, a volte purtroppo fortunati, della politica di quelli che “hanno il quid”. Ma ricordiamocela, la scena della Corazzata Potemkin: quando Fantozzi chiede di intervenire, e il suo superiore lo invita al microfono dandogli della “merdaccia”, e invece Fantozzi merdaccia non è, e quindi vince l’esitazione e urla, liberatorio: “Per me, è una cagata pazzesca”, tutti i colleghi scattano in piedi all’uniscono e prorompono, con buona pace del servilismo e dell’ossequienza, in un applauso travolgente. Perché una risata seppellisce, sempre, prima o poi, chi vuol fare il dittatore.