Un annuncio è solo un annuncio, non è una cambiale. E che la Volvo, glorioso marchio automobilistico svedese oggi controllato dal colosso cinese Geely, abbia annunciato la decisione di produrre soltanto vetture elettriche o ibride dal 2019 non significa affatto che lo farà davvero. Intanto, però, ha fatto parlare di sé il pianeta: poi potrà sempre, tra sei mesi, dire che la scadenza rivoluzionaria è stata differita al 2021 o al 2022 o chissà quando. 



Chiarito questo, anche per non dimenticarci che sugli annunci l’attendibilità delle fonti cinesi è relativa, la novità rimane rilevantissima per un’altra serie di ragioni, anche a volerle limitare all’ambito della comunicazione d’impresa. Innanzitutto, finora, l’auto elettrica è considerata un gadget intelligente. Intelligente se ibrida. Gadget e basta se puramente elettrica, come la Tesla, che infatti a oggi è il giocattolo di lusso di un pubblico ricchissimo ed esclusivo. Ma è inadoperabile, per chi voglia farne uso pratico quotidiano, non tanto perché i suoi 300 chilometri di autonomia sono troppo pochi, quanto perché le 8 ore di tempo per la ricarica completa da connessione alla rete elettrica domestica ordinaria sono un’eternità.



Se la Volvo si pone come l’anti-Tesla è perché, proprio come la mitica azienda fondata da Elon Musk, ritiene che la tecnologia degli accumulatori stia galoppando nella direzione di ampliare l’autonomia e accorciare i tempi di ricarica parziale. Per cui in mezz’ora, durata media della sosta in una stazione di servizio, un’auto elettrica di nuova generazione possa per lo meno immagazzinare quegli ulteriori 100-200 chilometri di autonomia che occorrono per arrivare a destinazione. 

Che quest’uscita di marketing sia poi decisa da un gruppo basato in Cina è ancor più rilevante. Per capirlo è utile inquadrare questa mossa nelle scelte che la Cina sta compiendo in materia di fonti energetiche. Recentemente Gazprom ha affidato al gruppo italiano Maire Tecnimont un lavoro da 3,9 miliardi di fatturato in tre anni per un mega-impianto di trattamento del gas ad Amursky. Ebbene, oltre il 40% del gas che sarà prodotto da questo mega-impianto è già destinato a essere assorbito dalla Cina, che non a caso detiene una partecipazione formale del 3% nel maxicontratto. Per la Cina, vincolarsi pluridecennalmente alla Russia per una fornitura in una categoria di risorse strategica come quella energetica è una svolta epocale. La diffidenza russo-cinese è proverbiale. Che la Cina la superi in nome di un contratto conveniente è l’ennesima riprova che Pechino sta “facendo sul serio” nelle strategie per decarbonizzarsi, sia accelerando il suo ciclopico programma nucleare, sia appunto smaltendo a tappe forzate l’armamentario delle centrali termoelettriche a carbone per sostituirle con quelle a gas e, alla peggio, a olio combustibile. 



La sensibilità ecologica non è, per i cinesi, un birignao di tipo salottiero, non è una moda, ma è sopravvivenza. Nelle grandi città si soffoca, letteralmente, dai piani alti dei grattacieli non si vede la strada giù a 100 metri perché lo smog offusca la vista e dunque l’esigenza di decarbonizzare, non solo l’atmosfera in generale ma anche quell’aria lì, attorno ai palazzi, inquinata dagli scappamenti, è vista come un’esigenza vera e propria, urgente e improcrastinabile. Anche per fini socio-politici e di consenso: chi soffoca, con l’ultimo fiato che ha in gola, ti vomita addosso l’estrema protesta.

Chi, come la Tecnimont ma anche la Saipem, ha dall’Italia sott’occhio un cruscotto mondiale sulle dinamiche dell’industria energetica sa che stanno moltiplicandosi nel mondo anche gli impianti per le energie rinnovabili dalle dimensioni e dalle potenza – 200/300 megawatt – talmente significative da raggiungere finalmente la scala industriale. E la tecnologia dell’idrogeno – un gas che rappresenta l’ideale serbatoio per le energie rinnovabili prodotte e non utilizzate – sta facendo passi da gigante. Se durante le giornate estive si produce molta più energia solare di quanta se ne consumi, con i nuovissimi accumulatori a idrogeno si potrà conservarla senza né impianti ciclopici né controindicazioni ambientali, sia nelle auto che nelle reti elettriche. E la forza di queste innovazioni si sta rivelando tale che anche il potere ancora spaventoso dei big degli idrocarburi e degli Stati produttori di petrolio finirà col dover cedere il passo.

Nel mondo che cambia veloce, c’è anche questo genere di scenari, dietro la mossa di marketing della Volvo cinese.