Strano silenzio quello dell’Ue nei confronti dell’atteggiamento francese su Stx: di solito, appena subodora qualcosa che possa assomigliare a un aiuto di Stato, Bruxelles reagisce come il cane di Pavlov. Come mai stavolta nemmeno un fiato? Fincantieri sta antipatica? O, forse, Emmanuel Macron gode di immunità politica? Chissà. Una cosa appare chiara: l’occuparsi ufficialmente, oltretutto senza particolare verve, unicamente di migranti non sta vietando agli organismi comunitari di trattare e lavorare su agende nascoste ben più strutturali. E di cui rischiamo di pagare le conseguenze fin dal prossimo autunno. Nel silenzio totale, infatti, la voce della Reuters l’altro giorno ha reso noto un fatto inquietante: l’Ue starebbe lavorando a un piano che permetta ai governi di congelare temporaneamente i conti correnti delle banche che appaiono in crisi. E non si tratta di sentito dire, perché la Reuters ha visionato un documento ufficiale al riguardo. La ratio è tanto semplice quanto autolesionista: nelle intenzioni, infatti, si vorrebbero evitare bank-run ed emorragie di depositi di banche in difficoltà o che stanno per affrontare un periodo particolarmente delicato – vedi un aumento di capitale o una riorganizzazione interna con tagli di vasta entità -, ma molti critici dicono chiaramente che una mossa simile devasterebbe il residuo di credibilità e fiducia nel sistema bancario dei cittadini, di fatto stimolando e non prevenendo prelievi di massa. 



Oltretutto, proprio ora, a poche settimane dal “salvataggio” di Banco Popular in Spagna e di Veneto Banca e Popolare di Vicenza in Italia. E non tragga in inganno il fatto che la bozza di lavoro al riguardo sia sul tavolo dell’Ue dall’inizio dell’anno: ora abbiamo un documento in draft che potrebbe essere priorizzato in Commissione al primo sommovimento sui mercati, fattispecie che non appare affatto peregrina da qui all’autunno. Di fatto, si garantisce ai supervisori il potere di bloccare temporaneamente i conti correnti di istituti in difficoltà, definendo questa ipotesi come «un’opzione realizzabile» nella bozza di documento preparata dalla presidenza estone, pur sottolineando che i Paesi membri sono divisi al riguardo. 



Ovviamente, a favore c’è la Germania, la quale a livello interno già permette una moratoria sui payouts bancari in caso di procedure di insolvenza a livello interno: «Il desiderio è quello di prevenire una bank-run, così che una banca già in situazione critica non sia spinta sull’orlo del precipizio», ha fatto sapere in forma anonima una fonte vicina al governo tedesco alla Reuters. Inoltre, la proposta estone è stata discussa dagli inviati Ue lo scorso 13 luglio, ma proprio le divisioni interne hanno evitato che si arrivasse a una decisione. Ma, attenzione, la trattativa riprenderà subito a settembre, nonostante per qualsiasi decisione finale sarà necessario un voto parlamentare. Stando alla bozze, i payouts bancari potranno essere sospesi per 5 giorni lavorativi e il blocco potrà essere esteso a un massimo di 20 giorni per circostanze eccezionali, stando alla bozza estone in esame. 



Duro il giudizio al riguardo di Charlie Bannister dell’Association for Financial Markets in Europe (Afme), a detta del quale «questa iniziativa non farà altro che incentivare bank-run da parte dei depositanti, fin dai primi periodi di un’eventuale crisi bancaria». Di fatto, basterà una voce o un’indiscrezione, una notizia di stampa o un refolo di rumors e, giustamente, la gente se ne fregherà della garanzia statale fino ai 100mila euro e, memore del controllo di capitali di Cipro e delle code fuori dalle banche greche, si precipiterà allo sportello per ritirare il possibile, proprio per evitare blocchi o limitazioni all’uso dei propri depositi. 

Una mossa così sciagurata e scomposta su un argomento così critico ci dice una cosa sola: c’è il forte rischio di un’altra ondata di instabilità bancaria in Europa. E a confermarlo in un’intervista con il settimanale Wirtschaftswoche ci ha pensato nel fine settimana non proprio il primo arrivato ma Otmar Issing, ex capo economista e membro del board della Bce oltre che della Bundesbank, il quale – come mostra la schermata del sito del giornale – ha detto chiaro e tondo non solo che la crisi europea non è alle spalle, ma che gli spettri di scenari negativi sulla Grecia sono ancora tutti presenti, arrivando a prospettare come soluzione un anno sabbatico di Atene fuori dall’eurozona, proprio per scongiurare il Grexit in piena regola. 

«La crisi dell’euro non è affatto ancora finita», ha detto chiaramente quello che è universalmente riconosciuto come uno degli architetti della moneta unica, tanto da chiedere l’introduzione di un meccanismo che permetta il ritiro temporaneo di un Paese membro dall’unione monetaria: «Stati come la Grecia farebbe meglio con un anno sabbatico fuori dall’eurozona. Comunque, dovrebbero essere accompagnati con massicci aiuti dalle altre nazioni e con una politica economica orientata alla crescita. E, al netto di questo, il re-ingresso nell’unione monetaria dovrebbe dipendere da riforme fondamentali». Smontando il dogma del Patto di stabilità e crescita, Issing spara ad alzo zero contro Atene: «Il suo governo è ancora orientato su politiche anti-crescita». Insomma, un atteggiamento da falco che non ha risparmiato nemmeno l’Italia: «Il governo italiano non ha sfruttato l’opportunità che gli si è parata davanti. Roma ha risparmiato decine di miliardi di interessi senza nemmeno usare la flessibilità». 

Il titolo scelto dall’articolo dalla Wirtschaftswhoche parla decisamente chiaro: Economist demands Euro-sabbatical for Greece. E a nome di chi avanza quella proposta l’81enne Issing? Forse del Center for Financial Studies (Cfs) della Goethe University di Francoforte, di cui è presidente dal 2006? O forse a nome di Goldman Sachs, di cui è adviser? Viene da chiederselo, perché Issing è stato da sempre un fautore del Grexit e lo scorso martedì ha parlato molto chiaro ai microfoni di Cnbc: «L’euro è irreversibile, ma se sia irreversibile per tutte le nazioni, beh, questa è una domanda aperta». E che dire di cosa disse lo stesso Issing, sempre alla Cnbc, nel settembre del 2015? «Per la Grecia, ci sono molti buoni argomenti relativi allo stare al di fuori dell’area euro per un certo periodo di tempo, ma tutto dipende dalle reazioni del governo ellenico». E poi, quando parla di «un aiuto massiccio da parte delle altre nazioni» che accompagni l’anno sabbatico o il Grexit, Issing si riferisce a un altro, il quarto, pacchetto di salvataggio per Atene? Perché in tal caso, abbiamo buttato al vento oltre due anni, visto che un piano di uscita temporanea dall’eurozona fu offerto alla Grecia dal ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble nel marzo 2015, come parte del pacchetto di minaccia verso il governo Tsipras-Varoufakis: addirittura, Berlino aveva fatto i conti e aveva stimato in 50 miliardi di euro il costo minimo per 5 anni di distacco sabbatico di Atene dalla moneta unica. 

Due cose sono certe, alla luce di queste notizie. Primo, l’eurozona e il suo sistema bancario non sono affatto salve. Secondo, “anno sabbatico” potrebbe essere la formula meno impaurente rispetto a Grexit. Ma, attenzione, la sostanza non cambia affatto. Anzi.