Gli investitori che settimana prossima saranno in vacanza partiranno un po’ meno tranquilli di quanto fosse lecito attendersi solo un paio di giorni fa; il mercato azionario italiano ha chiuso la settimana che precede Ferragosto con due giorni consecutivi di cali netti. Per trovare il colpevole questa volta non bisogna cercare nell’instabilità politica italiana, nel mancato rispetto di qualche vincolo europeo e nemmeno nei bilanci claudicanti di qualche banca italiana. Il mistero di questi cali si risolve facilmente dando la colpa alla battuta d’arresto dei mercati azionari americani di giovedì; una battuta d’arresto che arriva dopo mesi e mesi di tranquillità assoluta con la volatilità ai minimi di sempre e una lunghissima serie di chiusure senza sostanziali variazioni.
Questa settimana ci chiedevamo quali fossero le ragioni dell’eccezionale anomalia statistica del mercato azionario americano. Ci chiedevamo anche come questa anomalia statistica fatta di rialzi continui senza volatilità potesse stare assieme a un’economia con tante ombre, a una politica conflittuale e a numerose tensioni geo-politiche. La risposta era che il mercato americano fosse guidato da tassi di interesse eccezionalmente bassi e probabilmente da un intervento esterno per prevenire elementi di tensione in una fase in cui l’America è fragile economicamente e finanziariamente, è dilaniata da una faida interna per il potere e sta scontando gli insuccessi di una politica estera rovinosa. Non è questo il momento per far scoppiare la bolla del mercato nata nei tassi di interesse eccezionalmente bassi e proseguita oltre il dovuto nel 2016 quando la Fed ha rinviato il rialzo dei tassi per non immischiarsi nella campagna elettorale o, come dicono i maligni, per evitare che un crollo dei mercati venisse associato dagli elettori a Obama e al suo “successore” Hillary Clinton.
Il risultato è che la distanza tra mercati e realtà economica e politica è stata lasciata crescere e sopravvivere. È come se ci fosse un vuoto d’aria tra l’altitudine a cui stanno volando i mercati e la quota a cui invece dovrebbero viaggiare in una situazione normale priva di distorsioni esogene. In questa situazione tutto va bene o benissimo e poi improvvisamente tutto “va male” quando il mercato si aggiusta scendendo improvvisamente di quota. È probabile che nonostante la conflittualità estrema della politica americana nessuno abbia interesse a permettere un’altra crisi finanziaria che aprirebbe conseguenze imponderabili e che darebbe sfogo a tutte le fragilità attuali. Questo significa che sono possibili cali bruschi e repentini, come quelli degli ultimi due giorni, ma che verranno interrotti prima che si trasformino in ritirate disordinate. I mercati europei vanno a traino con un’aggiunta molto importante.
La conflittualità tra Stati Uniti e Europa sembra stia salendo di giri. Già da diversi mesi sono emerse frizioni per un tasso di cambio che viene percepito dall’America come ingiustamente favorevole per le imprese europee; un aggiustamento del tasso di cambio colpisce al cuore l’Europa che da anni ha deciso di puntare tutto sulle esportazioni. Un secondo fronte si sta aprendo per il diverso approccio alla Russia e alle sanzioni dato che l’Europa non ha nessun interesse a inasprire le relazioni e anzi vorrebbe migliorarle. Un terzo fronte potrebbe nascere da una possibile volontà di colpire i concorrenti per nascondere le proprie fragilità. Il conflitto tra Paesi europei, incapaci di qualsiasi progetto comune e costantemente tesi a guadagnare posizioni a discapito dei partner, diventa una fragilità che si può sfruttare con estrema facilità con inevitabili ripercussioni sui “mercati”. Per questo i cali dei mercati europei hanno un moltiplicatore superiore a uno dei cali del mercato americano.