Sicuramente Padoan e Gentiloni avranno una spiegazione per questa dinamica. E, ovviamente, ne avrà una definitiva anche il dominus di ogni mossa dell’economia europea, Mario Draghi. Già, perché l’inflazione rallenta ancora in Italia. A luglio l’indice nazionale dei prezzi al consumo, al lordo dei tabacchi, è aumentato dello 0,1% su base mensile e dell’1,1% rispetto a luglio 2016 (era +1,2% a giugno). È quanto ha rilevato l’Istat, confermando la stima preliminare: si tratta del dato tendenziale più basso da gennaio. L’ulteriore rallentamento dell’inflazione per il terzo mese consecutivo, ha spiegato l’Istat, si deve principalmente ai prezzi dei beni energetici sia regolamentati (+5,0% da +6,2% di giugno), sia non regolamentati (+2,1% da +2,9%) e a quelli dei servizi relativi ai trasporti (+3,2% da +4,1% del mese precedente), cui si aggiunge il calo dei prezzi dei servizi relativi alle comunicazioni (-1,4% da +0,1%).
L’inflazione di fondo, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, è scesa di un decimo di punto percentuale (+0,8% da +0,9% di giugno), mentre quella al netto dei soli beni energetici si è attestata allo 0,9% come nel mese precedente. Il lieve incremento su base mensile dell’indice generale è ascrivibile al prevalere degli aumenti, derivanti anche da fattori stagionali, dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (+1,6%) e dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+0,8%), rispetto alle diminuzioni registrate dai prezzi dei beni alimentari (-0,7%) e dei beni energetici (-1%). E, attenzione, perché l’inflazione annua è in calo solo in Italia, mentre nelle altre tre maggiori economie dell’Eurozona si registrano tendenze crescenti o stabili.
Il dato di ieri sull’inflazione italiana segue, infatti, a stretto giro quello dell’indice dei prezzi al consumo in Francia, risultato in rialzo dello 0,7% su anno e in calo dello 0,3% su mese. L’istituto transalpino di statistica, Insee, ha quindi confermato le stime provvisorie. Anche l’indice dei prezzi al consumo della Spagna è stato confermato in aumento a luglio dell’1,5% su anno (stessa variazione di giugno) e in calo dello 0,7% su mese. Stesso copione per l’inflazione a luglio in Germania che ha raggiunto l’1,7% annuo, mentre a giugno l’indice dei prezzi al consumo si era attestato all’1,6%.
E qui entriamo in un duplice range di valutazione delle cifre. Da un lato, infatti, i dati sull’inflazione sono importanti in chiave Bce. Stando a quanto emerso da un sondaggio Reuters, è leggermente più probabile che la Banca centrale europea annunci modifiche al proprio programma di acquisto titoli a settembre rispetto a ottobre. Il mese scorso l’Eurotower ha lasciato invariata la propria politica monetaria ultra accomodante e ha detto di non aver discusso del Qe, sottolineando che l’argomento «verrà affrontato il prossimo autunno». Ventotto dei 50 economisti interpellati tra il 7 e il 9 agosto hanno detto di aspettarsi che Francoforte si esprima a settembre, mentre per 15 di loro sarà necessario aspettare ottobre. La maggior parte dei restanti ha, invece, suggerito una non meglio precisata data all’inizio del 2018. A complicare il quadro potrebbe giocare un ruolo l’euro molto forte, di cui ormai vi parlo da giorni: la divisa unica, infatti, ha già guadagnato il 12% sul biglietto verde da inizio anno e le previsioni raccolte da un altro sondaggio Reuters vedono un ulteriore apprezzamento entro fine anno. Fin qui, la cronaca.
Ora la seconda valutazione del dato inflattivo. Racchiusa, di fatto, in due grafici, perché in economia devono parlare le cifre, non le chiacchiere o le citazioni dotte. Primo, questo grafico, ci mostra come ormai il mercato distorsivo della Bce sia arrivato alla follia totale e come il ritorno alla realtà sarà decisamente traumatico: e cosa ci dice? Che un controvalore di circa 23 miliardi di euro di bond italiani BB, ovvero con rating junk, oggi offre un rendimento minore al pari durata sovrano Usa, il Treasury! Ora, per quanto l’economia Usa non sia in forma smagliante, vi pare una cosa normale o da trattamento sanitario obbligatorio?
Eppure è così, la stamperia di Draghi è arrivata a questo. Ma quando il mondo tornerà normale, perché prima o poi dovrà accadere, quale bagno di sangue servirà per ristabilire valori e dinamiche sane? E quanto resterà dell’economia reale italiana, dopo quella specie di trattamento shock? E il sistema bancario, come reagirà? Perché nessuno parla di questo, limitandosi a raccontarci le balle della ripresa? Tra l’altro, l’altro giorno smentite clamorosamente da Financial Times e Centro studi di Confindustria. E poi questo grafico,il quale ci mostra come insieme a economie di tutto riguardo come Grecia, Romania, Cipro e Bulgaria, ai primi posti nella classifica europei dei Paesi con maggior percentuale di lavoro definito “schiavistico” ci sia proprio l’Italia. Sarà un caso che siano tutti punti d’ingresso privilegiati dell’immigrazione clandestina di massa? Devo scomodare l’esercito industriale di riserva di Karl Marx su queste pagine?
Al netto di tutte le dinamiche macro del mondo, della Bce, del Qe, dell’Ue e dei Sette nani, in questo Paese una larga parte della cosiddetta classe imprenditoriale sta operando dumping salariale, spingendo sempre più italiani lontani dalla ricerca stessa di un lavoro, visto che per 1 euro all’ora lavora solo un senegalese o uno del Ciad. Saranno loro che, oltre che pagarci le pensioni come dice quel premio Nobel di Tito Boeri, alzeranno anche i consumi, stimolando l’inflazione? Con quei salari stellari? O lo faranno gli italiani disoccupati, magari quelli che a pranzo vanno alla Caritas, perché due pasti al giorno sono troppi da sostenere? Guardiamoci in faccia e diciamoci la verità che quei due grafici rappresentano: da un lato viviamo a Fantasilandia e, dall’altro, i governi dal 2011 in poi per l’occupazione e la ripresa hanno fatto zero, salvo una decontribuzione una tantum che ha già esaurito da tempo la sua spinta.
La crisi sta arrivando: lo dice il primo grafico, lo dice da due giorni Piazza Affari, comincia a dirlo lo spread passato da 152 a 168 di massimo ieri, nonostante la Bce. O si fa qualcosa per il lavoro oppure la bomba che già sta per esplodere, non lo farà nel deserto, facendoci patire solo il fallout, ma lo farà all’interno di un giacimento petrolifero sociale, scatenando l’inferno. E stavolta, davvero, non esagero. Né scherzo.