I dati economici sulla produzione e i consumi, nonostante la prudenza dell’Istat, mostrano chiaramente che nei primi sei mesi dell’anno l’Italia si è rimessa in moto con un’energia superiore alle previsioni. E già comincia il balletto economico-politico, nel governo e tra i partiti, su come sfruttare questa occasione in vista delle elezioni politiche.
C’è stato un tesoretto che potremmo chiamare effetto Draghi: la politica monetaria accomodante della Bce e l’acquisto di titoli sul mercato (il Quantitative easing) hanno ridotto di circa 25 miliardi il costo del debito pubblico lo scorso anno. Com’è stato utilizzato quel risparmio? L’Unione europea e la stessa Bce volevano che servisse a stabilizzare la spesa pubblica (riduzione della quota sul prodotto lordo o almeno crescita zero) e ridurre il debito. Il governo Renzi ha aumentato il disavanzo (pur restando dentro il tetto del 3% rispetto al Pil) e ha varato una serie di misure con l’obiettivo di aiutare i consumi interni e vincere il referendum costituzionale.
Ora la congiuntura sta andando bene, trainata soprattutto da un’industria che ha ritrovato il suo dinamismo, è tornata a esportare nemmeno fossimo la Germania, sta recuperando gli anni perduti. In parte è un effetto molla (la recessione ha compresso la capacità produttiva che adesso scatta all’in su), in parte conseguenza della forte ristrutturazione della manifattura nazionale, in parte è dovuta agli incentivi introdotti con il piano industria 4.0 (soprattutto l’iper e super ammortamento per chi investe in beni strumentali).
La ripresa è tale da spingere a una revisione al rialzo anche delle previsioni del prodotto lordo anche oltre l’1,3% stimato dal Fondo monetario internazionale. Si tratta di due o tre di decimali di punto, ma mettono comunque in moto una reazione a catena. Dunque, abbiamo un altro tesoretto, potremmo chiamarlo effetto Calenda, tanto per offrire una semplificazione giornalistica. Come verrà utilizzato?
È facile prevedere che l’Ue (e la Bce) insisteranno con la loro ricetta: meno spesa pubblica corrente, riduzione del debito, le risorse che avanzano vanno divise tra un alleggerimento fiscale e investimenti pubblici. Difficile, invece, capire cosa farà il governo. Forse è un po’ presto, lasciamo passare il Ferragosto. Ma già adesso si prepara il teatrino politico del prossimo autunno.
Il ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, ha calato le sue carte: “La crisi non è alle spalle – ha dichiarato – occorre un piano industriale”. Lui che è sceso in campo contro le mire francesi, è il più francese di tutti, vuole protezione per legge dei campioni nazionali più il ritorno ala programmazione industriale. È già chiara la parte che reciterà sulla scena, non senza nascondere un’ambizione politica: potrebbe essere lui il rappresentante di quel “partito dei produttori”, moderato e riformatore, spesso inseguito nella storia d’Italia e mai decollato. Chissà.
Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia, non ci sta a farsi strappare la primogenitura. È già successo più volte con Matteo Renzi, ma erano altri tempi, comunque Calenda non è Renzi e le redini del bilancio, quindi della politica economica, sono nelle mani del Tesoro. Padoan starà attento, come sempre, a non superare i paletti europei. Un tempo voleva ridurre le imposte sui redditi, adesso dice che non c’è spazio né tempo visto che la legislatura è agli sgoccioli. Dunque, da lui è facile attendersi una Legge di bilancio prudente che può scontentare molti, a cominciare proprio da Calenda.
In mezzo si metterà certamente Renzi. Da quel che si capisce, vanterà il miglioramento della congiuntura come frutto diretto del suo governo (incentivi, 80 euro, Jobs Act) e spingerà per andare avanti in questa direzione, con altre erogazioni monetarie alle categorie che finora sono rimaste fuori. Tra queste commercianti, artigiani, professionisti, i lavoratori autonomi che hanno perso terreno in questi anni. È una delle promesse non mantenute, ed è una questione di equità dal forte contenuto politico, perché sono milioni di voti catturati per lo più dalla Lega e dal Movimento Cinque Stelle.
Tocca, dunque, ancora una volta a Paolo Gentiloni fare da mediatore se non proprio da paciere. Dai primi segnali vorrebbe che giovani e lavoro fossero la priorità delle priorità, ma la sua parte sarà soprattutto quella di un Figaro che risolve i problemi, più Mozart che Rossini, più cameriere (del governo in questo caso) che scapigliato factotum della città. E se, al contrario del personaggio di Beaumarchais, non riuscisse a mettere tutti d’accordo? Allora entrerà in scena come facilitatore (non deus ex machina, per carità, non è nel suo stile), Sergio Mattarella. Il presidente della Repubblica intende accompagnare questo governo (che ha lodato in più occasioni, anche in una intervista all’agenzia Bloomberg), fino al termine naturale della XVII legislatura, il 15 marzo prossimo, senza strappi e senza sussulti interni. Non è detto che ci riesca, ma a questo punto l’unico elettrone libero sembra Renzi: anche se il segretario del Pd sembra aver rinunciato all’idea di far cadere il governo, non smetterà di essere la sua spina nel fianco.
Il teatrino di Ferragosto ci offre molti personaggi in cerca di un’unica trama; come nella commedia dell’arte si va avanti recitando a soggetto, ma a forza di improvvisare anche gli attori di maggior talento finiscono per perdere il filo.