Uno dei temi che dovrà affrontare la prossima legislatura (quale che ne sarà la composizione e la struttura del Governo che ne verrà formato) è come incentivare gli investimenti in banda larga, strumento essenziale, anche se non sufficiente, per far sì che l’Italia recuperi produttività e competitività. Lo abbiamo sottolineato di recente in un articolo su questa testata, articolo che sollevato non poche polemiche
Una politica per la banda larga “sino alla porta di casa” di ciascuna famiglia italiana, oltre che di uffici, aziende e via discorrendo, comporta non solo fortissimi investimenti, ma di rispondere a domande chiavi di politica economica e di politica industriale quali:
1) Il monopolio “tecnico” di Telecom per la rete, un retaggio storico per l’Italia come per numerosi altri Paesi in cui la compagnia telefonica di Stato non ha mai ceduto la rete, è ancora compatibile nel contesto europeo e mondiale?
2) In caso di risposta positiva a questa domanda, come affrontare il problema dell’ultimo miglio ed evitare i frequenti disservizi spesso imputati, a torto o a ragione, a inefficienze della rete Telecom?
3) Se si decide di privatizzare, come farlo? Creando un duopolio ad esempio Telecom- Open Fiber? Creando una società a cui partecipino tutti i maggiori operatori del settore?
4) E, soprattutto, dato l’enorme sforzo finanziario richiesto, quali incentivi possono essere concepiti? E si devono prevedere deroghe alle regole europee su “aiuti di Stato”?
Queste sono le principali policy issues, ma solo per un economista che si è interessato a questi temi in passato e un utente che soffre spesso delle inefficienze e dei disservizi della situazione attuale (al pari di alcuni milioni di altri italiani). Come spesso avviene, si trova un possibile percorso guardando alla situazione europea. Un ausilio molto utile è il lavoro di J. Scott Marcus (Bruegel), Veronica Bocarova (Cullen International) e Georgios Petropoulos (Bruegel) Incentives for investment in fast broadband: How much can be expected from the proposed European Code? (Incentivi per investimenti in banda larga: quanto ci si può aspettare dal Codice europeo in via di preparazione?).
Il lavoro prende l’avvio di un punto essenziale di cui poco si parla in Italia: nel settembre scorso – mi sembra che se ne siano occupati pochi specialisti e che non ci sia stato quel débat publique, spesso invocato dal Governo dell’epoca (e non solo da lui) – la Commissione europea ha espresso una proposta legislativa al competente Consiglio europeo dei Ministri per sostituire l’ormai vetusto European Regulatory Framework for Electronic Communications (Rfec) del 2002 con un nuovo European Electronic Communications Code. Tra gli obiettivi del nuovo “Codice” come stimolare investimenti un banda veloce e ultraveloce. Dal 2002 a oggi, in questo campo, il progresso della tecnologia è stato rapidissimo. Allora, in Europa gran parte delle reti non erano né privatizzate, né liberalizzate e gli investimenti in reti di rame abbastanza ben prevedibili.
La normativa costruita all’epoca (per l’appunto il Rfec) poneva l’accento sulle condizioni per giungere a una maggiore concorrenza, non tanto su quelle per ampliare (e alla grande) il volume e la qualità degli investimenti. Guardava, si potrebbe dire, all’efficienza statica piuttosto che a quella dinamica. Il nuovo “Codice”, ancora allo stadio di progetto, è mirato a sviluppare linee di azione per incrementare gli investimenti.
Il lavoro di J. Scott Marcus, Veronica Bocarova e Georgios Petropoulos lo analizza in dettaglio sotto il profilo sia giuridico che economico. Ed è quindi un buon punto di avvio per un dibattito politico serio in cui anche il Governo italiano dovrebbe apportare un contributo per chiarire punti ambigui o poco chiari.