Il problema dei crediti deteriorati, “non performing loans” (npl), è piuttosto serio: in Europa ammontano a circa 1.200 miliardi di euro, pesano sui bilanci bancari e penalizzano l’intera economia dell’eurozona, dove la fonte principale di finanziamento per le imprese resta il tradizionale credito bancario. Anche la Commissione europea pare ormai convinta della necessità di un piano d’azione complessivo e articolato, che va dalla riforma dei sistemi giuridici nazionali sulla normativa fallimentare e sul recupero crediti, alla creazione di un mercato secondario dedicato agli npl, oltre al consolidamento della vigilanza bancaria, in modo da creare i presupposti per smaltire la mole di sofferenze accumulate.
Per inciso, la salute precaria degli istituti di credito europei non dipende soltanto dalle sofferenze: secondo recenti statistiche Consob, ad esempio, benché la redditività nel 2016 sia migliorata, le maggiori banche tedesche, inglesi e francesi hanno criticità legate alla qualità degli asset posseduti, detenendo attività illiquide per circa 10 volte l’ammontare del patrimonio di livello 1, cioè maggiormente liquido (azioni, utili e riserve): nel caso della Germania, ad esempio, circa l’80% delle attività sono di livello 2 e 3, mentre per le banche italiane le maggiori criticità derivano dalla qualità del credito, avendo una quota di sofferenze sul totale dei crediti significativamente superiore alla media europea (le sofferenze nette si collocano tra il 4,5% e il 5% del totale dei crediti, a fronte dell’1% della Germania).
Nel 2016, lo stock di npl presente nel nostro Paese si è attestato intorno ai 324 miliardi di euro, livello che ha stimolato l’attenzione di diversi operatori su un mercato che potrebbe dimostrarsi generoso per gli investitori, come dimostra la cessione di 17,7 miliardi di euro da parte di Unicredit a società estere specializzate (Fortress Investment Group e Pimco). In base all’analisi condotta sul campo dai consulenti di PricewaterhouseCoopers (PwC), per il 2017 si stimano circa 60 miliardi di euro in nuove transazioni commerciali straordinarie, avviate dagli istituti domestici aventi ad oggetto npl.
Con il recente salvataggio di Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca si è provveduto a esternalizzare l’ammontare delle sofferenze a favore della Società per la Gestione delle Attività (“SGA”) che vanta un passato glorioso (ricostruito nel bel libro di Mariarosa Marchesano, “Miracolo bad bank”), essendo stata con ogni probabilità la prima bad bank creata in Europa per smaltire i crediti deteriorati del Banco di Napoli, nel 1996. Contro ogni aspettativa politica, nell’arco dei successivi 20 anni la SGA ha recuperato oltre il 90% dei crediti trasferiti, conducendo, sotto traccia, un lavoro certosino su migliaia di posizioni critiche.
Le sofferenze del Banco di Napoli ammontavano a circa 9 miliardi di euro attuali e sono stati ceduti alla SGA per 6,3 miliardi, al 70% del loro valore, una percentuale oggi impensabile. Naturalmente, questo è in gran parte il vantaggio di disporre di un veicolo caratterizzato da supporto pubblico, che può permettersi previsioni oltre la pura logica del profitto economico-finanziario: gli operatori specializzati nelle attività di recupero sono disposti ad acquistare pacchetti di crediti deteriorati a prezzi inferiori al 20% del valore nominale, creando forti depressioni nei bilanci delle banche e ingenerando rischi non sottovalutabili nei diversi contesti economici territoriali, a causa dell’attivazione di procedure di recupero spesso spregiudicate, con ricadute su imprese e relativi indotti. Lo scopo della società o del fondo specializzato è quello di massimizzare il guadagno per i propri azionisti o quotisti, non certo la salvaguardia patrimoniale di imprese e famiglie.
Naturalmente, oggi la situazione economica è molto diversa da quella in cui operava il Banco di Napoli più di vent’anni fa, quando la causa principale del disseto fu dovuta non tanto a finanziamenti erogati a imprese in disseto finanziario, quanto all’improvvisa e improvvida chiusura della Cassa del Mezzogiorno, di cui il Banco anticipava la liquidità; così come il mercato immobiliare era alla vigilia di una proficua ascesa.
C’è un ulteriore particolare, tuttavia, degno di nota: intervistato da organi di stampa (La Repubblica, luglio 2017) in merito al segreto del successo ottenuto, Roberto Romagnoli, direttore generale della SGA, ha fornito, a mio parere, l’indicazione più preziosa: “le azioni legali vanno espletate – cito – ma ogni debitore è una persona e bisogna perseguire con infinita pazienza e diplomazia un colloquio con lui, cercando un punto di compromesso”. In fondo, è forse questo spessore umano a fare la differenza, in ogni epoca storica e in ogni contesto economico-sociale, oltre all’ingegnosità delle strategie pensate e realizzate.