L’AUMENTO DI CAPITALE DI CARIGE
Se lo scorso autunno era stato quello contraddistinto dall’aumento di capitale lanciato da Mps, quello di quest’anno potrebbe essere importante per Carige, visto che a settembre, secondo quanto riportato da Mf-DowJones, dovrebbe tenersi l’assemblea degli azionisti per approvare la ricapitalizzazione, per la quale è prevista l’emissione di nuove azioni per 560 milioni di euro, alcune delle quali riservate all’offerta di conversione per i detentori di bond subordinati. Dunque la somma non è certo paragonabile a quella che Montepaschi chiese un anno fa senza riuscire a ottenerla, ma si tratta comunque di un’operazione importante per cercare di mettere al sicuro i requisiti patrimoniali che per via del deconsolidamento dei crediti in sofferenza e la pulizia di bilancio sono a rischio. Se tutto andrà per il meglio, si riuscirà a evitare un’altra situazione potenzialmente critica per il sistema bancario italiano.
L’ESEMPIO DELLE PATOLOGIE BANCARIE
Il decennale della crisi dei subprime, scoppiata nell’agosto del 2007, è stata l’occasione per Milano Finanza per notare come sia cambiato il sistema bancario italiano. Dieci anni fa, il roe, ovvero il return on equity, era pari al 13%, gli impieghi crescevano del 10% e le sofferenze ammontavano a circa il 2% dei crediti. Carige pagava a Intesa Sanpaolo quasi 13 milioni di euro a filiale, mentre Mps acquistava Antonveneta per 9 miliardi di euro e la banca toscana produceva un utile di un miliardo l’anno. Il quotidiano finanziario ricorda che tuttavia le cose hanno cominciato a cambiare abbastanza in fretta, perché già alla fine del 2007 i risultati economici delle banche cominciarono a essere penalizzati dall’aumentato costo del funding.
Del resto il cosiddetto mercato interbancario aveva cominciato a far circolare meno liquidità, dato che si cominciavano a nutrire timori sull’effettiva solidità della controparte. Così la prima risposta fu quella di cominciare a restringere il credito, anche perché la crisi internazionale cominciava a farsi più grave. Milano Finanza indica poi in Montepaschi l’esempio migliore delle “patologie italiane”. Infatti dopo l’operazione di Antonveneta è iniziato un avvitamento che in pochi anni ha comportato un esborso superiore ai 16 miliardi di euro per azionisti e contribuenti, con una montagna di crediti deteriorati pari a 28 miliardi. Alla fine si è dovuti arrivare alla nazionalizzazione, che forse si sarebbe dovuta realizzare prima. I danni e i costi, si dice, sarebbero stati inferiori.