Cosa significa l’aumento del Vix, dell’indice della paura, di cui parlavo ieri? Paura sul mercato, appunto, quindi vendite. Ovvero, qualcuno con i desk troppo pieni di carta di vario genere parcheggiata a bilancio a valori completamente inventati rispetto a fondamentali ormai virtuali riesce a vendere quella paccottiglia a qualcun altro, oltretutto facendogli credere di aver fatto un affare, visto che Wall Street macina un record al giorno e l’eurozona sembra la terra degli unicorni. E qual è la ratio che regge tutto il giochino? Che senza un allarme emergenziale, quali sono la guerra con la Corea del Nord o un intervento militare in Venezuela, quei tonfi dei mercati e quelle vendite sarebbe stati visibili a occhio nudo. E, soprattutto, da giustificare basandosi sulla categoria ormai desueta della realtà.
Ogni tot il mercato, completamente in bolla a causa delle Banche centrali, deve scaricare i suoi eccessi, come quei vecchi condizionatori che andavano svuotati dall’acqua. Serve a stabilizzare, ma anche a testare la resistenza: e il fatto che ultimamente sia tornata la correlazione, il re-coupling, fra tensioni geopolitiche e cali dei mercati significa che, poco a poco, la realtà torna a fare capolino. Caso strano, con l’Abenomics in stallo e con il termine ultimo già spostato avanti di un anno e la Bce chiamata con sempre più determinazione a negare l’inizio ufficiale del tapering del proprio programma di Qe: insomma, comincia a mancare la benzina e il mercato è stufo di spingere l’automobile a mano come ha fatto in passato per mostrare che va tutto bene. Ogni tanto, si ferma.
E per farlo può beneficiare della macchina della propaganda globale: un giorno è il Russiagate, poi la Corea del Nord, poi il Venezuela, poi la Libia e i migranti, poi il prezzo del petrolio, poi il sempiterno Isis, ieri tornato alla ribalta in Russia con un’operazione antiterrorismo su vasta scala (e con grande eco mediatica). Politica, finanza e geopolitica sanno che devono fare i conti con una convergenza senza precedenti e, allora, non possono che giocoforza allearsi e dar vita a pantomime come quella della valuta giapponese di lunedì mattina, a fronte dell’ottimo dato del Pil.
Ora leggete queste parole: «Dal 2007 a oggi le cause della crisi sono ancora tutte lì. Se allora c’erano numeri eccessivi, oggi sono esplosivi. La liquidità eccessiva che ha causato la crisi dieci anni fa, oggi è esponenzialmente superiore. La finanza sta subendo una mutazione genetica spaventosa. Ci sono tutti gli elementi in cui nascono le famigerate “bolle”… Adesso il passaggio decisivo è la Rete, che è diventata la patria di questo nuovo mondo, che fa superare i confini politici nazionali e quello della realtà. Con la rete si supera la distinzione tra realtà fisica e virtuale. Già nel Faust di Goethe l’uomo passa dall’oro estratto dalla miniera alla cambiale, alla ricchezza di carta. Ma ora questo passaggio è ancora più radicale, totale. Quello che era un processo che si sviluppava nella realtà misurata dalla stessa moneta nella rete si distacca completamente, seguendo iperboliche sequenze di algoritmi. Il mondo per millenni ha vissuto il conflitto tra l’imperatore, il potere politico e Creso, il potere economico. Adesso, per la prima volta nella storia, Creso batte l’imperatore». A parlare così è stato Giulio Tremonti in un’intervista dell’altro giorno al Corriere della Sera, incentrata appunto sulla questione della sostenibilità finanziaria a dieci anni dall’inizio della grande crisi globale.
Non conferma, di fatto, la mia idea? Ovvero che il sistema non sia estraneo da quegli squilibri che creano le crisi, ma ne sia un tutt’uno, essendo la nostra concezione stessa di libero mercato andata fuori controllo e fuori obiettivo? Perché, utilizzando proprio una metafora di Tremonti di qualche anno fa, dal videogioco in cui siamo precipitati, continuano a venire generati mostri sempre peggiori, mano a mano che ne uccidiamo? Perché quei mostri sono il “prodotto di scarto” della nostra produzione di ricchezza, basata unicamente su denaro creato dal nulla da Banche centrali che operano in modalità oligopolistica con l’unica finalità di mantenere in piedi i mercati e le economie: altro che controllo della stabilità dei prezzi, qui siamo alla pianificazione centrale del mercato. A partire dai tassi, i quali attraverso il loro ruolo di regolazione del costo del denaro dovrebbero fungere da equilibratore delle dinamiche: ma quando, come vi ho detto l’altro giorno e come mostra il grafico che è meglio ribadire, circa un controvalore di 22 miliardi di euro di titoli junk-bond (BB) europei pagano un rendimento inferiore al Treasury USA a 2 anni, di cosa stiamo parlando?
Altro che videogame, qui siamo a Matrix.E questo ultimo grafico ci dimostra come questo gioco di specchi e realtà virtuale abbia un nome, quantomeno negli Stati Uniti: recessione. Guardate l’andamento dei profitti corporate a partire dal Qe a oggi: finito lo stimolo diretto, linea retta. O, se preferite, cardiogramma piatto. Lo stimolo di Trump, tutto a parole, è stato già prezzato e digerito, ora si è attivata la chiave bellicista del warfare, ma la questione generale è tutta di sostenibilità e rimane tale: senza la Fed, attiva o passiva poco importa, l’importante è sapere che c’è, l’economia Usa non va da nessuna parte, in primis le vendite al dettaglio.
L’Europa? Penso di avervi sfinito nel dimostrarvi come dipenda tutto da Draghi. Il Giappone? Vi ho parlato ieri del paradosso a cui sta arrivando quel laboratorio faustiano di monetarismo di Stato. Tremonti vede altre bolle all’orizzonte? Beato lui che vede solo quelle.
(2- fine)