“Una delle cose emozionanti di Internet è che chiunque con un pc e un modem può pubblicare qualunque contenuto possa creare”: parola di Bill Gates, il geniale inventore di Microsoft (ma geniale e inventore davvero, non come questi quattro sedicenti guru di Silicon Valley che millantano invenzioni mai fatte). Era il 1996 e Gates aveva deciso di pubblicare un saggio, sul sito di Microsoft, dal titolo inequivocabile: “Content is King”, il contenuto è il re.
Facciamo un balzo in avanti di 21 anni e cosa leggiamo sul Wall Street Journal di ieri? Che la Apple, il colosso di Cupertino padre (o madre? Il gender è discutibile) di icone mondiali della tecnologia di massa quali l’iPhone e l’iPad e di una delle più efficienti reti di servizi cloud del mondo, iTunes e iCloud, ha deciso di investire un miliardo di dollari per produrre come un qualunque editore comune mortale un proprio contenuto video a partire dal prossimo anno.
Avete letto bene. Il colosso mondiale dell’informatica “amica” e facile da usarsi, che capitalizza 750 miliardi di dollari in Borsa e ha in cassa 250 miliardi di liquidità propria — sono numeri più grossi di una nazione come la Grecia, che per di più non ha liquidità propria ma solo debiti! — ha deciso di darsi ai contenuti. Ventun’anni dopo la profezia di Bill Gates, la Apple, ovvero quel che resta della Apple innovativa creata dal suo rivale Steve Jobs — non inventore quanto Gates ma certo altrettanto creativo — prepara (o tenta di tutelare) il suo futuro al di fuori dall’informatica, al di fuori dal digitale, nel mondo evanescente dei contenuti, cioè — per capirci meglio e svergognare così i tecnocrati — nel mondo delle Muse, della poesia, dei sentimenti, del bello e del brutto, insomma: della fantasia umana.
Che bella notizia. Secondo il Wall Street Journal, Apple sta progettando di creare fino a dieci nuove serie televisive con cui spera di poter competere con i megasuccessi di Netflix, come House of Cards o come Game of Thrones.
E come pensa di diffondere questi contenuti, la Apple? Attraverso il suo già esistente servizio di Apple Music (che inizia a includere video) o attraverso un’ancora nascente piattaforma di streaming video. L’azienda — completa l’indiscrezione il quotidiano finanziario di Wall Street — ha già assunto due dirigenti di intrattenimento di Sony per condurre il progetto.
Perché la cosa è di straordinario interesse?
Perché sancisce un’evidenza. Mentre nel mondo dell’informatica avanzata, quella che serve all’industria o alle grandi aziende, la concorrenza tra colossi come Microsoft, Apple, Ibm eccetera si gioca ancora sulla “sostanza” dei sistemi che vengono prodotti, in tutto il resto del mercato — che è poi quello preponderante — cioè il mercato del digitale “consumer”, quello che usiamo noi singoli individui comuni mortali… l’informatica sta diventando un prodotto indifferenziato.
A tutti i livelli: una volta l’iPhone sembrava una stella inarrivabile, a confrontarsi con i telefonini concorrenti; oggi un Huawei o un Samsung o un Htc hanno prestazioni del tutto comparabili e non a caso prezzi allineati: prezzi cari, ma uguali. E chi passa dall’uno all’altro prodotto dopo qualche giorno non nota più le differenze.
Ebbene: le industrie tecnologicamente “mature”, dove le invenzioni non “fanno più” la differenza e le caratteristiche dei prodotti si equivalgono — parliamo dell’industria dell’energia, dell’automobile, dell’aerotrasporto, solo per citarne tre “di massa” — la concorrenza si gioca sui prezzi, e solo sui prezzi, e quindi i margini di guadagno dei vari player in concorrenza l’uno con l’altro si assottigliano. E dunque, o scattano difese oligopolistiche (è il caso dell’industria petrolifera, e ci sono riuscite per una ventina d’anni anche le industrie telefoniche ma oggi non più); oppure il piatto degli utili piange, la Borsa non ride, i premi ai manager non arrivano e si slitta nella serie B del business.
Apple sta evidentemente iniziando a ragionare su come prevenire questo declino diversificando verso settori in grado di aggiungere esclusività alla sua piattaforma e alla forza “identitaria” dei suoi prodotti, appunto entrando nella produzione dei contenuti.
Del resto, la profezia di Gates si attua anche nell’aver tutti noi ormai compreso che nessuna piattaforma di streaming è, in sé, talmente bella, inimitabile ed efficiente da essere preferita “di per sé” dai consumatori, nemmeno Netflix. Per questo, il mondo dello streaming video sta diventando sempre più competitivo. Da Disney a CBS a Viacom tutti i big della produzione video stanno cercando di perfezionare pacchetti di contenuti nuovi che attraggano gli spettatori in sé e per sé, e non perchè “garantiti” da Netflix o — non ne parliamo neanche — dalla vecchia Sky.
Ma a leggere da vicino alcuni dati del mercato americano si capisce meglio cosa sta accadendo al settore dei contenuti video, della fiction insomma. Nel 2012, l’iTunes era la piattaforma utilizzata per il 50% di tutte le vendite e/o gli affitti di film on-line. Oggi, questa quota è scesa a meno del 35% in quanto i servizi di sottoscrizione come Netflix hanno conquistato pubblico. In che modo? Impacchettando meglio, con dei criteri editoriali, i contenuti prodotti da terzi, vendendoli con degli abbonamenti e non individualmente e — appunto — accompagnandoli con produzioni originali che hanno incontrato uno straordinario favore di pubblico ed hanno creato una fama positiva attorno a Netflix, come se fosse una nuova Hollywood, una nuova “fabbrica dei sogni”…
E dunque, dov’è la straordinaria positività della notizia? E’ tutta in un concetto: se anche i colossi del digitale come Apple devono prendere atto che “Content is King” fino al punto da investire pacchi di miliardi per produrre contenuti, è segno che la qualità del contenuto farà di nuovo e sempre più la differenza tra concorrenti, a prescindere dalla rete (o dal canale Tv) che lo diffonde. Banalmente, in Italia i “fans” di Maurizio Crozza non hanno esitato un solo istante ad abbandonare La7 e a sintonizzarsi sulle frequenze del Canale 9 quando il bravissimo comico genovese ha cambiato, appunto, editore. Crozza è il contenuto, il “King”; La7 o Canale 9 sono semplicemente la rete di distribuzione. E mentre sul digitale terrestre i canali sono tanti ma non tantissimi — solo un migliaio, perché le frequenze per la trasmissione broadcast sono una risorsa scarsa amministrata dagli Stati — e per giunta si sa che oltre il canale 30-40 sono ben pochi i telespettatori che s’avventurano col telecomando, sul web la quantità potenziale di piattaforme (alias: siti) di streaming ai quali collegarsi per godersi il contenuto preferito è virtualmente infinita. Ed è anche molto meno dispendioso crearne di nuove.
Logico, dunque, che un colosso famelico come Apple voglia sfruttare la sua straordinaria forza di marketing, il suo legame profondo con i clienti, per vendergli anche contenuti, ma “proprietari”, però, per farli come reputa più opportuno al fine di trattenerseli, questi clienti. Ed è qui che se la giocherà contro i “Davide” delle piccole case cinematografiche di tutto il mondo, anche quelli che con pochi mezzi, sistematicamente, ogni anno, riescono a bagnare il naso anche ai big svettando nelle classifiche e creando da zero nuovi brand di contenuti che attraggono clienti…
Vent’anni fa nel mondo dei contenuti si sarebbe detto che il King fosse la Endemol, che inventava e produceva format tv e li vendeva in un sacco di Paesi. Poi è andata in crisi, oggi c’è Netflix che vent’anni fa non esisteva, ma tra due anni potrebbe esserci la Apple o aver prevalso la Disney o la Viacom o, più auspicabilmente, potrebbe esserci un “ecosistema” di concorrenti, in parte produttori di contenuti, in parte gestori di piattaforme o di reti, in parte di sistemi digitali o device.
P.S.: alla luce di questo ragionamento, appare un po’ superata la visione dei francesi di Vivendi che pretendono di fare un buon business colonizzando Telecom Italia, in modo da ravvivarla e ravvivare se stessi dando ai propri contenuti un nuovo canale di diffusione. Certo, è possibile farlo. Ma non basterà diffondere sulla rete Telecom dei contenuti scadenti, per farli apprezzare; e viceversa dei contenuti brillanti e attraenti potrebbero essere fatti apprezzare e ben venduti anche attraverso, che so, Canale 9 o la rete Tiscali. Se voglio vedere Crozza o The House of Cards o Il Commissario Montalbano me li cerco ovunque siano e me li guardo ovunque posso. Apple lo sa, e ha paura, e corre ai ripari: Content is King.