Ormai siamo alle comiche. Il capo della comunicazione della Casa Bianca, Anthony Scaramucci, è stato silurato dopo appena 10 giorni dalla sua nomina: motivo? Ignoto. Almeno ufficialmente, perché nelle segrete stanze tutti sanno che stanno per esplodere rivelazioni molto pesanti e occorre gente in grado di gestirle, non dei fenomeni da baraccone. Il problema, sostanziale, è che prima che qualcuno gli facesse aprire gli occhi, Trump lo aveva assunto Scaramucci: la Casa Bianca, di fatto, è in mano a un dilettante allo sbaraglio. Il quale, tra l’altro, gestisce la valigetta con i codici nucleari. Non fosse una cosa seria, sembrerebbe di essere nel remake de Il dottor Stranamore.
E ora? Ora c’è da aspettarsi di tutto da Washington, anche perché da domenica si è aperto ufficialmente anche il fronte di crisi venezuelano, con sanzioni già imposte contro Maduro che vanno a sommarsi a quelle contro Russia, Iran e Corea del Nord. Insomma, Usa contro tutti e in stato di evidente confusione politica. Ora, io sarò anche complottista, ma se c’è un pregio che riconosco agli Usa è il pragmatismo spietato: se Donald Trump con la sua corte dei miracoli non fosse strumentale a una qualche strategia di medio termine, lo avrebbero già fatto fuori. Anche fisicamente, forse. E invece, sembra che fra Congresso e Casa Bianca sia in atto una sorta di patto: ognuno opera per i fatti suoi senza disturbare l’altro, rifilandosi calcioni negli stinchi. ma non arrivando mai alle estreme conseguenze.
Guarda caso, ieri mattina in avvio di contrattazioni, l’euro era scambiato a 1,1825 dollari contro 1,1727 fissati lunedì dalla Bce. Non un guadagno, un salto. Ovviamente, razionalisti e stampa mainstream hanno la giustificazione pronta: la leggera accelerazione registrata dall’economia europea. Stando ai dati diffusi da Eurostat ieri mattina, infatti, nel secondo trimestre il Pil è aumentato dello 0,6% rispetto al trimestre precedente, sia nell’Eurozona che nell’Ue a 28 Paesi, mentre la crescita è stata pari al 2,1% rispetto allo stesso periodo del 2016 nell’Eurozona e al 2,2% nell’Ue. Nel primo trimestre era aumentata rispettivamente dell’1,9% e del 2,1% annuale. La crescita è stata in linea con le aspettative degli economisti e rappresenta una crescita annualizzata del 2,3%, leggermente più lenta di quella statunitense e superiore a quella della Gran Bretagna. Il dato più significativo è quello anno su anno, sui massimi dall’inizio del 2011, a dimostrazione che l’Eurozona starebbe sperimentando la sua espansione più duratura sin dalla Grande Recessione. Quindi, come meccanismo di reazione, la Bce dovrebbe inasprire la sua politica monetaria e portare a un rafforzamento dell’euro. Ora, capisco che credere alle favole sia divertente, ma davvero qualcuno crede che la Bce avvierà il tapering in tempi brevi? Oltretutto, per un miglioramento ridicolo come quello diffuso ieri? Vi siete già scordati la dinamica che vi ho mostrato la scorsa settimana, quella relativa al ruolo pressoché vitale degli acquisti corporate della Bce per mantenere compressi i costi di finanziamento delle principali aziende europee? Operiamo un tapering su quella dinamica?
«Non vi sono state notizie particolari tali da giustificare il movimento al rialzo dell’euro che potrebbe essere legato probabilmente a flussi di chiusura del mese. La forza dell’euro sta continuando a penalizzare i listini della zona euro, in particolare il Dax, mentre in quelli Usa è il settore tecnologico la componente al momento più volatile», hanno sottolineato gli esperti dell’ufficio studi di Mps. E sempre per quanto riguarda il dollaro, i recenti commenti di Richard Fischer, ex capo della Fed di Dallas e amico del presidente Usa, Donald Trump, sembrano indicare che «la debole inflazione arriva dai dati economici deboli, che arrivano da una debole gestione politica», ha osservato Toshiyuki Suzuki, analista di Bank of Tokyo Mitsubishi Ufj: «Tale situazione suggerisce un ulteriore rallentamento degli incrementi del costo del denaro, una cosa non positiva per il biglietto verde».
E lo volete un dato relativo a questa debolezza? General Motors a luglio ha registrato un crollo delle vendite di flotte alle società di noleggio auto negli Stati Uniti dell’80%, arrivando ad appena poco più di 2.700 unità in un comparto che rappresenta il 10,5% delle vendite totali di GM a luglio. Quindi, capite che il problema è reale e io non sono un complottista: la già debole situazione macro dell’economia Usa è ulteriormente resa fragile da una guida politica inesistente o al limite del farsesco come per il caso Scaramucci. E il dollaro non può che beneficiarne al ribasso, visto che almeno la voce dell’export darà un appiglio reale di bilanciamento al netto della bolla che mantiene in vita i mercati azionario e obbligazionario.
Ora, voi potrete anche pensare che io sia fissato con questa faccenda dell’euro forte, ma vi invito a ragionare sul quadro macro che si sta delineando: tutti gli indicatori, ormai da qualche mese, parlano di eurozona in netta e costante ripresa, quindi di missione compiuta per il Qe, stando ai ragionamenti un po’ pavloviani di qualche analista, che si scorda come la missione della Bce sia quella di portare l’inflazione attorno ma al di sotto del 2%. Dato, quest’ultimo, che si allontana di rilevazione in rilevazione, esattamente come accade per l’altro grande laboratorio espansivo in funzione, quello giapponese. Quindi, tendenza a grande cautela sul ritiro delle manovre di stimolo, esattamente come delineato da Draghi nell’ultima conferenza stampa dopo il board Bce. Poi, come vi ho detto la scorsa settimana, strane voci dal sen fuggite partono proprio dall’Eurotower, chiedendo chiarezza sui tempi del tapering. Il tutto con la Casa Bianca che sembra il Muppet Show e l’incognita degli acquisti di debito corporate europeo: il combinato di euro forte e mancanza del canale di finanziamento della Bce per imprese europee non è gestibile, pena veder sparire tutti quei dati positivi poco fa elencati e che osserviamo da qualche settimana. Nel momento in cui mancherà mamma Bce e le aziende dovranno tornare sul mercato da sole, appoggiandosi per il finanziamento unicamente a banche talmente sane da vedere l’Ue pronta a bloccare i prelevamenti agli sportelli in caso di difficoltà, l’intero castello di sabbia verrà travolto. Con la piccola conseguenze che noi lo seguiremo.
La forza con cui si è rotta quota 1,17 per arrivare stabilmente sopra 1,18 deve far paura e riflettere: l’ho scritto la scorsa settimana sapendo che sarebbe accaduto, un trend simile potrebbe portare la divisa unica europea in area 1,20 proprio a ridosso del discorso di Mario Draghi a Jackson Hole, i prossimi 24, 25 e 26 agosto. E per allora, i fronti di instabilità geopolitica che gli Usa potranno schierare a loro favore a livello monetario saranno almeno tre: Venezuela, Nord Corea e Baltico/Est Europa. Il primo è un classico proxy da operazione sotto copertura in America Latina, quelle che piacciono tanto alla CIA da Pinochet in poi, la seconda rappresenta la classica scusa per mostrare i muscoli alla Cina, rea di aver rotto proprio il patto monetario e aver ricominciato a esportare deflazione e la terza è l’ormai incombente epilogo della scelta folle dell’Europa di appaltare l’Est e i Balcani alla volontà Nato di accerchiare i confini russi. Certo, se dovesse emergere un conflitto netto, frontale e sul campo, nel medio termine il dollaro risalirebbe grazie all’attivazione del warfare, il moltiplicatore bellico-industriale del Pil, ma il periodo di schermaglie precedente non potrebbe che vedere denaro affluire verso l’eurozona e in fuga dall’instabilità bellica e politica Usa.
E se con l’euro sopra 1,20 sul dollaro e la Bce divisa tra falchi e colombe, qualcosa potesse inviare uno scossone sui mercati? Magari proprio quelle banche che, come vi ho raccontato ieri, sono talmente solide da necessitare manovre di difesa preventive? O magari proprio la Grecia, pronta a una nuova crisi politica che metta in discussione il percorso delle riforme? Troppi indizi per non fare una prova, qualcuno ha deciso che l’Europa debba essere epicentro del reset.