Sulla ripresa dell’economia europea incombe il rischio di “futuri eccessivi rialzi dell’euro”. Un segnale chiaro, perfino troppo esplicito per il vocabolario delle banche centrali. Eppure l’allarme lanciato dai verbali dell’ultima riunione della Bce non è riuscito a frenare l’ascesa della moneta unica che, dopo una temporanea ritirata, ha ripreso a correre nel fine settimana. Più per la debolezza del dollaro, a dire il vero, che non per la forza della ripresa dell’Eurozona che per ora non è riuscita a smuovere l’inflazione. E così, più della soddisfazione per l’indiscutibile riscossa dell’economia dell’area euro, sui mercati conta la crisi della leadership americana, per ora più politica che economica, anche se dai verbali della Fed (altra anomalia) è emersa un’incertezza di fondo tra i banchieri legata all’atteggiamento ondivago dell’amministrazione Usa. 



Prevale, insomma, un senso di disorientamento generale. Non a caso prende il volo la valuta virtuale, il Bitcoin, che ha moltiplicato per quattro e più volte il suo valore da inizio anno: in assenza di un ancoraggio stabile tra le valute ufficiali, la speculazione si rifugia nel mercato virtuale. È questa la situazione alla vigilia della ripresa d’autunno, per tradizione segnata dall’incontro di Jackson Hole, Wyoming, tra i grandi banchieri centrali. Doveva essere l’occasione per ascoltare da Mario Draghi le linee di un pur graduale e prudente ritiro del Qe. Ma il presidente della Bce, vista la delicatezza della situazione, ha deciso di evitare temi di attualità nel suo intervento. La vera preoccupazione è di evitare che un’impennata dell’euro non comprometta il recupero dell’eurozona, compresi i paesi più fragili. 



Diversi segnali testimoniano, alla vigilia delle elezioni tedesche, che herr Draghi dispone di un consenso pieno anche da parte dei falchi tedeschi. Il ministro delle Finanze Wolfgang Schaueble è sceso in campo a sua difesa dopo la decisione della Corte di Karlsruhe di processare il Qe. Non meno importante l’avallo implicito della Bundesbank alla politica praticata in questi mesi per garantire un paracadute all’Italia al momento della fine del Qe. Il programma di acquisto della Bce ha permesso alle banche di ridurre la loro esposizione ai governativi italiani dai 428 miliardi di euro del giugno dello scorso anno ai 377 miliardi del mese scorso. Un risultato reso possibile dal fatto che Berlino, preso atto della penuria di titoli tedeschi sul mercato, ha accettato che gli acquisti di Francoforte si orientassero verso l’Italia. 



Negli Usa, intanto, Janet Yellen è entrata nel suo semestre bianco perché a febbraio scade la presidenza della Federal Reserve. Al suo posto potrebbe subentrare Gary Cohn, il consigliere economico di Trump, il principale esponente delle colombe della band che circonda il presidente. Ovvero il fiero nemico del suprematista bianco Stephen Bannon (appena “silurato” da Trump). Non a caso giovedì sera sembrava scontato che Cohn, dopo le esternazioni di Trump sugli incidenti di Charlottesville, fosse a un passo dalle dimissioni. Ma Chon, ex Goldman Sachs, è un osso duro, pronto a replicare colpo su colpo alle scelte estremiste di Bannon che chiedeva ad alta voce di dar seguito alle minacce commerciali contro la Cina, il Messico e l’Unione europea (ovvero la Germania). 

Anche per questo i mercati temono di dover assistere a un duro e pericoloso corpo a corpo tra i vertici dell’amministrazione che potrebbe mettere a rischio la ripresa dell’economia globale, finora sostenuta più dagli sforzi di Pechino e dalla saggezza di Draghi che non dalla politica schizoide della superpotenza Usa.