Il Ferragosto è passato senza danni: niente tempeste finanziarie, niente crisi, nessuno psicodramma politico-economico. Al contrario, sono arrivate notizie incoraggianti. La ripresa sta diventando vera crescita, il prodotto lordo potrebbe aumentare di un punto e mezzo; anche se troppo poco rispetto ad altri paesi: la Spagna viaggia a ritmi superiori al tre per cento, l’Italia però sembra in piena accelerazione, quindi potremmo avere nuove sorprese positive se la festa non verrà rovinata dalla maledizione delle due D: debito e disoccupazione.
L’atmosfera sembra euforica nelle borse internazionali, salvo qualche sussulto dovuto alle follie di Kim Jong-un o al terrorismo islamico. A dieci anni dall’inizio della grande crisi finanziaria, molti dicono che si è creata una nuova bolla e puntano il dito non tanto sulle banche, quanto sull’universo digitale. Se davvero c’è, per il momento la bolla non sembra in procinto di scoppiare. I mercati a partire da oggi guardano a quel che diranno venerdì Mario Draghi e Janet Yellen all’annuale incontro tra i banchieri centrali organizzato dalla Federal Reserve a Jackson Hole nel Wyoming. Ma è difficile attendersi novità: in Europa l’inflazione è ancora al di sotto del 2%, l’obiettivo della Bce; negli Stati Uniti la crescita del Pil è fiacca e l’implosione della presidenza Trump dopo soli sei mesi non aiuta di certo. Dunque, né Draghi né la Yellen hanno intenzione di cambiare rotta: avanti adagio, con giudizio, la politica monetaria resterà espansiva, ma senza strappi. Toccherà ai governi pilotare la crescita per renderla sostenibile e duratura.
L’Italia sarà messa sotto pressione affinché riduca il debito pubblico che continua a salire in quantità e in rapporto al Pil, smentendo la convinzione che si sarebbe ridotto automaticamente una volta ripartita la crescita. Appena riapriranno gli uffici di Bruxelles chiusi per ferie, sentiremo intonare il mantra. Da quel che si capisce, Paolo Gentiloni e Pier Carlo Padoan cercheranno di schivare i colpi lavorando a una Legge di bilancio prudente, evitando qualsiasi stretta. Del resto, la legislatura si avvia verso il semestre finale e la politica fiscale sarà segnata dalla scadenza elettorale.
Il perno della manovra saranno gli incentivi, da quelli per il lavoro giovanile al rinnovo delle agevolazioni per gli investimenti. Non si tratta di una novità, semmai la conferma di scelte già fatte alcune delle quali hanno funzionato (per esempio, il piano Industria 4.0), altre meno (l’aumento degli occupati con contratti a tempo indeterminato non ha migliorato in modo consistente il tasso di disoccupazione). Sul mercato del lavoro, in particolare, gli incentivi hanno creato aspettative che si sono spesso trasformate in cocenti delusioni; in molti casi gli imprenditori hanno rinunciato ad assumere aspettando l’arrivo dei benefici, oppure hanno anticipato la loro fine liberandosi delle posizioni lavorative assunte con contratti ritenuti troppo onerosi. Gli incentivi, in sostanza, anziché oliare il mercato hanno gettato sabbia negli ingranaggi.
Basare la crescita su bonus e alleggerimenti temporanei del costo del lavoro non dà garanzie di continuità e non rimette in moto gli investimenti nel medio periodo, crea l’illusione di una fiammata che si spegne appena il beneficio viene digerito, si trasforma in un fuoco fatuo. Non a caso Gentiloni al Meeting di Rimini ha parlato di “incentivi permanenti, stabili” e “interventi molto selettivi”. Tuttavia, non c’è da attendersi clamorose novità, ci saranno “alcune limitate misure per accompagnare la crescita”. Il suo obiettivo è “concludere in modo ordinato la legislatura”.
Certo, non ci sono le condizioni né c’è il tempo per mettere in campo una politica di lungo respiro. Se il governo decidesse quella riduzione permanente delle imposte sempre promessa e sempre rinviata, non potrebbe garantirne la copertura. A quel punto scatterebbe il veto dell’Unione europea la quale teme l’esito di elezioni che non favoriscono la governabilità: se nessuno otterrà una chiara vittoria, l’Italia entrerà in una fase di instabilità permanente; se dovesse vincere il Movimento 5 Stelle, lo spettro di un Paese gestito come la Roma in mano a Virginia Raggi farebbe scattare una vera e propria emergenza.
Gentiloni fa bene a essere prudente e non promettere quel che non può realizzare. Tuttavia, la legislatura non si chiuderà bene, né in modo ordinato, lasciando un pesante fardello su chi dovrà governare dalla prossima primavera, il fardello delle due D: debito e disoccupazione.