Quanta ipocrisia. Siamo tutti spagnoli, anzi catalani, visto che la solidarietà nazionale è durata meno del battito d’ali di un colibrì e gli sciovinismi sono tornati in campo in vista del referendum sull’indipendenza di ottobre. Tutti contro il terrorismo, senza se e senza ma. Ovunque. Sulla rambla riaperta in fretta e furia come nelle stanze del potere, sui media come al Meeting, dove il primo ministro, Paolo Gentiloni, ha dedicato al tema una parte sostanziale del suo accorato e applaudito intervento. E poi vai con barriere e dissuasori nelle piazze e nei viali più importanti di Milano e Roma, quasi quei blocchi di cemento fossero delle moderne e anti-estetiche coperte di Linus per farci sentire al sicuro. Da cosa, poi? Dall’ennesima minaccia contro il nostro Paese da parte dell’Isis, rilanciata da un noto sito di fiancheggiatori della destabilizzazione mondiale? Se volete credere a Rita Katz e Site fate pure, io mi fido di più di Marco Minniti. Il quale, infatti, nonostante il suo ruolo di primissimo piano nella questione sicurezza, non ha aperto bocca, né instillato panico. Lavora in silenzio, come dovrebbero fare tutti. E invece parlano. Si riempiono la bocca di stili di vita occidentali che i terroristi vorrebbero farci cambiare, di libertà fondamentali da difendere, di dibattiti degni dei bambini dell’asilo sulla necessità di avere o meno paura: al netto di tutto e di quanto accaduto a Napoli, c’è da aver più paura di aver bisogno del pronto soccorso, piuttosto che dell’Isis. E poi, quale credibilità può avere un Occidente che si ripromette di difendere i propri valori (quali? Il gender? Le mamme-incubatrici a pagamento? Le discoteche dove muori per una spinta involontaria?), quando è stato lui stesso a dare forma, legittimità, finanziamento, supporto, addestramento e armi a chi ora minaccia di far esplodere la Sagrada Familia? Un Occidente che ha chiamato per quattro anni “guerra civile” quella siriana, quando fin dall’inizio delle ostilità erano presenti in Siria mercenari islamici di almeno dieci nazionalità estere: strano concetto di guerra civile, non vi pare? 



Non entro nel merito della presunta dinamica (o, meglio, dinamiche) di quanto accaduto a Barcellona per carità di Patria, ma soltanto il fatto che 12 ragazzini abbiano trasportato in una villetta 120 bombole di gas per assemblarle in tre autobombe, dovrebbe farvi riflettere su due cose: o ci stanno vendendo l’ennesima versione hollywoodiana di qualcosa che non si può dire o gli inquirenti e l’intelligence spagnoli sono riusciti nel miracolo di battere in cialtroneria quelli belgi. E mi sono limitato alla discrepanza più macroscopica, ma di cose che non tornano o fanno sorridere amaro ce ne sono a bizzeffe. 



Però, una cosa voglio dirla al premier Gentiloni e a tutte le persone che lo hanno applaudito domenica al Meeting nel corso del suo discorso: non sarete mai credibili, quando parlate di “emergenza terrorismo”, se non farete una cosa. Da subito. Togliere le sanzioni alla Russia. Già, perché mentre fra Rimini e Barcellona si perdevano ore in chiacchiere, veglie e cori di Imagine, l’aeronautica russa preparava la risposta. Arrivata ieri mattina: fra i 250 e i 300 miliziani ammazzati in un raid, il quale ha portato anche alla distruzione completa di 20 fra tank e veicoli corazzati del Califfato. Fatti, non parole o canzoncine. O, peggio, quattro dissuasori e due barriere in piazza. Quindi, appare logico chiedersi una cosa: se il terrorismo è l’allarme numero uno, come ribadito da tutti, perché sanzionare l’unico Paese che lo sta combattendolo sul campo? Per la questione della Crimea, di fatto territorio russo da sempre? O perché l’Ucraina è il bastione di penetrazione Usa, Nato e Fmi nel cuore dell’ex impero sovietico e a Washington, tra le principali cause di nascita dell’Isis grazie alle “primavere arabe”, non si può dire di no?



Almeno abbiate il coraggio e la coerenza delle vostre azioni: o stai contro l’Isis o stai con l’Isis. E, parlano i fatti, schierarsi a pelle d’orso sulle direttive Nato in Medio Oriente equivale a stare con chi l’Isis non l’ha mai contrastata realmente. Chi davvero la combatte risponde al nome di Russia, Siria, Iran e Libano attraverso Hezbollah: guardate questa foto, è stata scattata domenica al confine fra Siria e Libano dopo che l’esercito libanese ha dato vita a un’offensiva contro posizioni di Daesh, conquistandole. Bandiera con il cedro e bandiera spagnola in solidarietà con Barcellona e il suo popolo: sono due soldati di religione islamica, i quali fino a poco prima avevano un mitra in mano e ammazzavano i colleghi di chi in Europa noleggia furgoni e schiaccia la gente lungo i viali delle nostre città. 

Il problema è che in Italia o si parla e basta o si lascia il monopolio delle soluzioni (grazie al cielo solo teoriche) ai Salvini in politica o ai Sallusti e ai Feltri in campo editoriale e mediatico: gente che, a parole, vorrebbe dar fuoco a ogni pizzeria egiziana o ogni kebabbaro che incontra per strada, in nome dello scontro di civiltà e dell’eroina Oriana Fallaci, una che prima dell’11 settembre viveva in un attico di New York senza aver nulla da ridire sull’inclusiva e multirazziale società americana, quella che aveva dato vita – ad esempio – alle islamicissime Pantere Nere di Malcolm X. Poi si sa, l’occasione fa l’uomo ladro e lo spot delle Torri Gemelle l’ha tramutata in un John McCain in gonnella. Quindi, facciamola finita una volta per tutte con l’ipocrisia, quantomeno in nome e per rispetto dei 15 morti, dei feriti e dei loro parenti: chi impone e continua a prorogare le sanzioni contro Mosca, unicamente per sottostare a un diktat statunitense, non può parlare di contrasto al terrorismo, non può parlare di valori o di libertà da difendere. Perché con quell’atto fornisce, giorno dopo giorno, legittimità alla guerra di Daesh in Siria e Iraq, di fatto facendo gonfiare il petto e alzare a cresta ai loro epigoni europei. 

Se l’Italia vuole essere credibile nella lotta al terrorismo deve – e ripeto deve – ritirare il proprio voto favorevole alle sanzioni contro la Russia al primo meeting europeo ufficiale utile, fregandosene della Merkel e di Macron: Mosca è il nemico numero uno di Daesh insieme a Siria e Iran, quindi il nemico del mio nemico è mio amico. Si chiama “legge del beduino”, può apparire grossolana, ma è la base stessa della diplomazia. Quella stessa diplomazia che il governo Gentiloni ha messo in campo rimandando, giustamente, il nostro ambasciatore in Egitto, pur dando vita alla pagliacciata delle novità sulla morte di Giulio Regeni in arrivo dal Cairo a Roma. Ci serve l’ambasciatore per mediare, attraverso Al-Sisi, nei confronti di Haftar, anche e soprattutto per tutela l’Eni: non c’è niente di male, né di che vergognarsi, lo fanno tutti gli Stati industrializzati del mondo. Troviamo quindi il coraggio di farlo verso Mosca, tanto più che mancano una ventina di giorni alle grandi esercitazioni che porteranno 100mila soldati russi ai confini europei e, in casa Nato, qualcuno potrebbe essere tentato da una false flag, stante il clamoroso fiasco in cui si sta sostanziando l’operazione Russiagate in America. 

Ricordiamoci, inoltre, che per quanto ora malediamo il caldo, l’inverno arriverà: e con esso la necessità di approvvigionamento energetico. E per farvi capire che parlo di cose reali, pratiche, questi due grafici vi mostrano il perché di tanto interesse dei media per le statue dell’era confederata e per le polemiche rispetto al loro abbattimento: Donald Trump fuori dalla Casa Bianca significa dollaro che crolla, quindi Fed in piena operatività emergenziale ed export che andrà con il cannone, mentre tutte le altre nazioni si troveranno a fare i conti con una nuova crisi e con le tensioni geopolitiche al massimo. 

In questo momento, un asse diplomatico privilegiato con Mosca sarebbe politicamente rischioso, ma anche l’unica risorsa reale in mano all’Ue, sia nella lotta al terrorismo che nella sopravvivenza a una guerra valutaria e commerciale. Certo, è più comodo gridare idiozie contro l’Islam o giocare con i gessetti colorati. Poi, però, si piangono i morti. E le economie a pezzi.