Cosa c’è di più qualificante, per un banchiere centrale, dell’umiltà? Se la risposta è: “nulla”, ecco che l’intervento di Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, ieri sera al Meeting di Rimini su “Cambiamento d’epoca. La crisi come passaggio” merita il Nobel. Perché il governatore ha ammonito sulla relatività della scienza economica, e l’ha fatto da economista di vaglia.

Il format gliela permetteva, questa scelta umile: è stata una lezione, non un’intervista pubblica. Non potevano arrivargli domande sugli effetti della probabile, imminente fine del “Quantitative easing” che la Bce di Mario Draghi ha usato per sostenere gli Stati del Sud dell’Eurozona. O sull’eventuale persistenza di focolai di crisi nel settore bancario nazionale, o sul bilancio dell’attività di vigilanza svolta dalla nostra banca centrale negli ultimi scandali italiani. Ma il coraggio intellettuale di dire che l’econometria è una scienza imprecisa, quello l’ha avuto eccome, Ignazio Visco. Ha avuto cioè il coraggio di dire una cosa che potrebbe sembrare blasfema nei templi della scienza economica, ma è soltanto e semplicemente saggia, ed è appunto saggiamente umile dirla: i modelli econometrici sono approssimazioni, non devono pretendere di essere previsioni millimetriche sul divenire degli eventi, e devono adattarsi alla realtà.

“L’economista è come un artigiano”, ha spiegato Visco a un pubblico attentissimo, con tanti giovani, “più che uno scienziato, è un artigiano che in una sua particolare bottega usa i materiali e gli strumenti a sua conoscenza per produrre qualcosa che sia utile a tutti. Ma non semplicemente applicando modelli. Il modello economico è un’approssimazione al mondo reale, è qualcosa di lineare, mentre il mondo cambia in modo non lineare. Non deterministico e neanche prevedibile. Quindi, dobbiamo essere pronti ad adattare il modello al mondo… e non dire che il mondo è sbagliato quando smentisce il modello…”. 

Visco non ha precisamente il piglio del sovranista, né ama toni da imbonitore. Ha un eloquio rilassante, da padre di famiglia, reso più morbido da qualche sfumatura napoletana. È abituato a guardare alla realtà come a una sfera, con tanti possibili e diversi angoli di visuale, e quando – aderendo alla richiesta del titolo dell’evento – presenta e commenta dodici slide molto schematiche e chiare sul “cambiamento d’epoca” fa subito capire che non intende né benedire, né condannare questo fenomeno in corso. Saggiamente, in tutto il suo intervento e nel breve scambio di battute finali con uno studente e con Giorgio Vittadini, raccomanda di cavalcare il cambiamento e coglierne le opportunità, non soltanto difendersi da esse….

Nel merito, ha ammonito sulla consistenza della ripresa economica in corso, che c’è a va sostenuta completando il percorso delle riforme strutturali. E ha indicato quattro priorità: innanzitutto, l’innovazione; di fronte alla minaccia del calo dei livelli occupazionali, va seguita la strada non luddista ma aperturista, bisogna rafforzare il tasso di innovazione, che in Italia abbiamo affrontato con riluttanza e con ritardo; non bisogna “fissarsi” nell’impresa impossibile di difendere a oltranza la permanenza sul mercato di imprese decotte, meglio favorirne la chiusura e concentrarsi sulla nascita di nuove attività; puntare, a questo riguardo, su settori non tradizionali, ivi compresa la tutela del territorio (“È curioso che se ne parli solo nelle emergenze”, ha annotato in sostanza il governatore, “quando da anni ripetevamo nelle nostre Considerazioni finali quanto fosse urgente”); e poi una riorganizzazione dei tempi di lavoro di tutti. Investendo intanto e ovviamente in conoscenza…

Perché alla fine la chiave del futuro sta tutta nelle nuove conoscenze. Di fronte alle quali l’atteggiamento giusto è quello di cogliere le opportunità, e non limitarsi a temere i rischi del cambiamento. “Siamo una società conservatrice, ma dobbiamo metterci in gioco. La società cambia e cambierà a ritmo velocissimo. Non dobbiamo chiuderci. Neanche però abbandonare il necessario rispetto verso le competenze e consolidate, l’insegnamento del passato”.

Sintetizza Vittadini: “In un’ora abbiamo appreso tanto, grazie a tanto lavoro analitico e sistematico. Occorre saper esercitare le giuste scelte di gusto, proprio come gli artigiani: nel cambiamento, scegliere di puntare su quel che preferiamo, quel che ci piace fare. E occorre pazienza, tenuta nel tempo. Non dobbiamo lavorare solo per il domani, ma essere fattori attivi di questo cambiamento d’epoca, sarebbe bello essere ricordati come i monaci che 400 anni fa scrivevano per un pubblico che all’epoca non c’era, ma sarebbe venuto dopo”.

Nota di colore: il governatore si è richiamato al film “The social network” per citare la risposta data dall’allora rettore di Harvard Larry Summers ai gemelli Winklevoss che si lamentavano con lui che Zuckemberg gli avesse rubato l’idea di Facebook: “Beh, è strano. Oggi ad Harvard gli studenti credono che inventare un lavoro sia meglio che trovare un lavoro. Dunque il mondo cambia globalmente, questo cambiamento richiede una disposizione al lavoro diversa. Questo comporta non opporsi al libero scambio… Ai più giovani, va il compito più impegnativo e stimolante: investire in conoscenza, per acquisire il capitale umano necessario a dare il proprio contributo. Come diceva Franklin, l’investimento in conoscenza è quello che paga il massimo interesse”.