“C’è un’altra delle ideologie del Novecento dalla quale dobbiamo cominciare a uscire se vogliamo ragionare in termini di sussidiarietà, ed è quella del decentramento. Noi abbiamo oggi nel mondo città che tornano a essere un grande punto di riferimento culturale”, dice Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà: “Sono città che rappresentano i primi elementi del superamento del nazionalismo, e anche l’Unione europea se vuole superare il nazionalismo deve valorizzare queste identità che hanno una loro cultura e una loro autonomia”.
Vittadini trae in questo modo, al Meeting di Rimini, una sua sintesi al convegno sulle “Prospettive globali di crescita e dinamiche dei piccoli stati e delle città-stato” promosso da Advantage Financial, la finanziaria che tra l’altro sta gestendo Advantage Greenmango United4Business, un’innovativa piattaforma di business matching. E proprio il presidente e amministratore delegato di Advantage Financial, Francesco Confuorti, fa eco a Vittadini sottolineando che “il modello delle città-Stato, il modello dei piccoli Stati, è da tener presente come funzione futura della nostra visione sociale, perché all’interno dei piccoli stati e delle città-stato si creano grosse opportunità internazionali che possono essere gestite a misura d’uomo, con umanità, e con un’etica che riguarda tutti noi e che è poi lo spirito stesso del Meeting”.
Dunque un approccio globale, che trova e promuove un nesso tra la crescita dei piccoli Stati e delle città-Stato e la possibilità di vivere i valori della persona umana, della società civile, della crescita economica sana. In coerenza con una grande tradizione culturale: quella che – come in apertura aveva sottolineato lo stesso Confuorti – ha reso grande l’Italia, il cui successo è stato definito proprio dalle città-Stato, da Venezia a Genova.
A discuterne, un panel eccellente: da Odd Per Brekk, vice direttore del dipartimento Asia e Pacifico del Fondo Monetario Internazionale a Domenico Fanizza, direttore esecutivo per l’Italia, i Paesi Bassi e il Regno Unito della Banca di Sviluppo Africana; da Tom Amolo, ambasciatore del ministero degli Esteri del Kenya a Wafik Grais, presidente della Banca Centrale della Repubblica di San Marino ad Alain Bifani, direttore generale del Ministero delle Finanze in Libano; e ancora da Alberto Mingardi, economista e direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni, al giornalista economico del Corriere della Sera Federico Fubini a Paolo Messa, direttore del Centro studi Americani, come moderatore.
Brekk, illustrando alcune slide, ha dimostrato senza ombra di dubbio quale motore di sviluppo sia l’Asia per la crescita globale anche a medio e lungo termine, e quanto già incida oggi, soprattutto nel confronto con pochi anni fa. Fanizza e Amolo, da punti di vista affini ma diversi, hanno illuminato le straordinarie prospettive del Continente africano, dove si sta concentrando sempre di più la crescita demografica mondiale, e dove anche a medio termine si potranno cogliere straordinarie opportunità di benessere e sviluppo: “Con la natalità”, ha sottolineato Fanizza, “non si generano solo bocche da sfamare, ma anche forza lavoro preziosa”. Mentre Amolo ha enfatizzato come la “narrativa” sull’Africa non renda giustizia in generale a quel continente, e in particolare a un Paese come il Kenya, costituito come democrazia, capace ormai di svolgere una funzione di hub per l’intera area subsahariana e di formare in modo prospettico i suoi giovani. Amolo ha riconosciuto che servono ancora progressi in ambito finanziario, sul fronte della ricerca, ma le multinazionali hanno già scoperto il Kenya e stanno già incrementandovi i loro investimenti.
Un contributo lucido sulle potenzialità dei piccoli Stati l’ha portato poi Alain Bifani, direttore generale del Ministero delle Finanze in Libano, il quale ha citato tra l’altro il successo di Hong Kong e della sua Borsa che è giunta al settimo posto su scala globale, servendo al meglio il suo “grande fratello” cinese, e che addirittura nel 2009 è stata la sede del 22% di tutti i collocamenti borsistici di nuove società realizzati nel mondo, grazie all’eccellenza e all’efficienza raggiunte dal suo mercato finanziario.
Importante a questo riguardo la testimonianza di Wakik Grais, presidente della Banca Centrale della Repubblica di San Marino, il quale ha voluto lanciare un messaggio chiaro: “Esistono nel mondo piccoli Stati di successo, essere piccolo non è una sventura, da Montecarlo al Liechtenstein al Lussemburgo alla stessa City di Londra che si sta affermando sempre di più come una sorta di città-Stato – la dimensione non è un ostacolo al business, a patto che si sappia pensare e comportarsi in modo globale e essere veloci nei cambiamenti, dandosi regole chiare, risanando la finanza pubblica, abbassando le tasse e i costi della burocrazia e garantendo certezza del diritto”.
Una sintesi severa ma acuta l’ha offerta Fubini, per il quale il futuro di questi piccoli Stati e delle città-Stato – provenienti in molti casi da una storia di “paradisi fiscali” che è ormai volta al termine – può essere però garantito dal fatto che i grandi paesi stanno vivendo un’epoca di transizione piena di instabilità che induce e indurrà molti individui ricchi a trasferire altrove le loro sostanze proprio in virtù della maggiore stabilità che le piccole realtà nazionali garantiscono.
Felice la sintesi di Mingardi: “Mi affiderei a una frase di Adam Smith che 250 anni fa affermò: ‘Poc’altro è richiesto per condurre uno Stato all’opulenza se non pace, tasse accettabili e una tollerabile amministrazione della giustizia’. Obiettivi perseguibili anche dai piccoli Stati! Non a caso, tra i primi 10 stati al mondo per ricchezza procapite, 7 sono piccoli o per dimensioni o per popolazione. Quindi la piccola dimensione può essere un vantaggio. Tanto che il boom economico della Cina è stato costruito anche facendo leva su ben 259 aree economiche speciali cui Pechino ha affidato prerogative economiche analoghe a quelle delle città-Stato”.