Jeff Bezos non ama perder tempo. E così lunedì prossimo, quando diventerà operativa l’acquisizione della catena di grandi magazzini Whole Foods (13,7 miliardi di dollari), i clienti prenderanno atto che la nuova proprietà, cioè Amazon, ha già abbassato i prezzi di frutta e verdura oltre che di una lunga serie di altri prodotti, seminando lo scompiglio tra i concorrenti. La mossa di Bezos, una sorta di Attila dell’economia digitale, è stata annunciata quasi in contemporanea con l’arrivo in Wyoming dei banchieri centrali più potenti del pianeta (Janet Yellen, Mario Draghi e il giapponese Haruhiko Kuroda) per il tradizionale seminario annuale che la Fed di Kansas City organizza tra le montagne di Jackson. Una coincidenza simbolica, visto che al centro dei colloqui c’è soprattutto l’inflazione, anzi l’assenza di inflazione dieci anni dopo l’avvio delle terapie per contrastare la recessione. 



Le massicce dosi di liquidità che hanno provocato l’aumento della base monetaria mondiale di 15.000 miliardi di dollari (poco meno di un terzo nei soli Stati Uniti) non hanno innestato, così come era logico attendersi, l’aumento dei prezzi. Anzi, arrivati al nono anno di crescita globale, l’inflazione torna a scendere. Non è andata meglio alla curva di Philips, altra regola aurea dell’abc del buon banchiere centrale per cui al calo della disoccupazione dovrebbe corrispondere relativo aumento del saggio dei prezzi. Al contrario, il caso della disoccupazione non ha coinciso con un ciclo di aumento dei salari. Ai banchieri centrali comincia così a essere chiaro che a determinare l’inflazione, i tassi reali e, di conseguenza, il livello degli asset finanziari, ci deve essere qualcosa di ancora più profondo e strutturale dell’output gap (la differenza tra il Prodotto interno lordo effettivo e quello potenziale) e della politica monetaria che da questo prende le mosse.



Nel frattempo la sindrome di Amazon (o degli altri campioni dell’economia digitale) continua a produrre effetti e a macinare vittime. Quelli che furono i campioni del commercio, vedi Macy’s o Bloomingdale, continuano ad arretrare in Borsa assieme alla ritirata dei profitti, provocata in buona parte dal taglio dei prezzi per sostenere la concorrenza digitale. Intanto sotto la pressione di Google e Facebook, dominatori dell’offerta pubblicitaria sulla rete (più dell’80% del mercato), soffrono i Big della comunicazione: Wpp, il gigante inglese, lancia l’allarme sul tracollo della spesa dei grandi del consumo. Ormai la sfida si gioca sul web. La tecnologia può però essere un’opportunità: Wal-Mart si è appena associata a Google per reagire ad Amazon. Grazie ad Assistant, il cilindro elettronico di Google che mette in contatto gli utenti con le centrali del commercio, il cliente potrà ordinare il prodotto voluto con un semplice comando vocale e riceverlo a domicilio. Così il fornitore del servizio, vedi il grande magazzino nel nostro caso, torna a essere centrale e a dettare la sua legge ai prodotti. 



Insomma, la discesa dell’inflazione provocata dalla tecnologia comporta un brusco taglio dei costi, a partire da quanto pagato ai lavoratori, e un profondo cambiamento degli equilibri. Intanto l’invecchiamento della popolazione e il conseguente vacillare dello stato assistenziale induce a risparmiare di più per la vecchiaia. L’eccesso di risparmio rispetto alla domanda di finanziamento per investimenti produttivi causa una discesa strutturale del tasso d’interesse reale. Inflazione salariale quasi inesistente e tassi reali negativi, a loro volta, spingono al rialzo gli asset finanziari, complicando le scelte dei banchieri centrali.

Crescita tecnologia e invecchiamento delle popolazioni nel mondo sviluppato rappresentano le due novità che fanno sì che il mestiere di banchiere centrale non sia più quello di una volta. Le manovre sul costo del denaro rischiano di non aver più la stessa efficacia, anche perché le dimensioni mondiali del mercato del lavoro sono stato influenzato dall’arrivo di cinesi, russi e indiani, manodopera sofisticata e a buon mercato. Nasce di qui il richiamo dei banchieri a non gettar via i risultati raggiunti negli ultimi dieci anni navigando buona parte del tempo in territori sconosciuti.  Janet Yellen ha usato il suo discorso a Jackson Hole per difendere le regole finanziarie adottate dopo la peggiore crisi dalla Grande Depressione degli anni ’30 del secolo scorso. Mario Draghi, come ha già fatto in settimana parlando a Lindau in Germania, ha difeso i risultati raggiunti dai vari Qe. 

In sintesi, qualcosa si può cambiare, sia al di qua che al di là dell’Atlantico, ma correzioni di rotta troppo violente, una nuova massiccia deregulation o il ritorno all’indisciplina finanziaria dei bilanci pubblici possono far deragliare il convoglio. E in tal caso le arti dei banchieri centrali non serviranno a granché.