Con i tre decreti approvati dal Consiglio dei Ministri del 28 giugno scorso, pubblicati in questi giorni, la Riforma del Terzo Settore ha finalmente svelato la sua fisionomia. Certo, mancano ancora molti provvedimenti e, tra questi, alcuni importanti, ma la struttura c’è e si può iniziare a comprenderne la portata. Il primo dato che mi sembra importante sottolineare riguarda il metodo, ossia il lavoro che, con Cdo Opere Sociali, abbiamo fatto insieme a moltissime organizzazioni italiane. Organizzazioni che hanno storie e riferimenti culturali diversi e spesso lontani, ma che si sono trovate animate dal desiderio che “tutto possa esistere”.
Questo lavoro ha avuto quale principale ambito di incontro e di paragone il Forum del Terzo Settore Nazionale e si è allargato anche ad altre associazioni che non vi aderiscono e che hanno propri ambiti di rappresentanza. Un lavoro svolto anzitutto per capire che tipo di riforma potesse valorizzare al meglio il Terzo Settore in tutte le sue componenti e poi per poter avanzare proposte che partissero dalla realtà e dai problemi che tutti i giorni si incontrano, animati dal desiderio che una parte così importante della società potesse continuare a operare e a svilupparsi per rispondere a bisogni crescenti. Questa collaborazione ci ha visti uniti da una stima reciproca – frutto importante e non secondario di questa riforma – e ha portato a un dialogo spesso costruttivo con le Istituzioni preposte.
Nel merito, questa riforma crea la categoria degli “Enti di Terzo Settore”, rilancia e agevola l’Impresa Sociale e cerca di ordinare un mondo variegato che ha visto leggi susseguirsi nel corso degli anni, con poche armonizzazioni e tante sovrapposizioni. Presenta certamente dei punti critici, nei quali la sussidiarietà cede il passo a un sospetto e quindi a una serie eccessiva di limitazioni e obblighi, tra i quali: i limiti per la nomina del collegio sindacale molto più bassi di quelli previsti per le società; l’obbligo di pubblicità degli stipendi dei soci e quello di tenuta della contabilità ordinaria per entrate superiori ai 50.000 euro; il gran numero di atti da pubblicare nel Registro Unico anche per realtà molto piccole e, inoltre, il fatto che le attività che caratterizzano l’interesse generale siano stabilite da una Legge, pur essendo apprezzabile l’ampiezza dell’elencazione.
Ci sono anche tante parti non ancora chiare, o rispetto alle quali è difficile dire quale sarà l’effettiva portata fino a quando non saranno varati i tanti provvedimenti mancanti. Primo fra tutti quello relativo alle attività secondarie e strumentali, che potrà essere varato all’insegna della valorizzazione o, viceversa, della regolamentazione rigida, il che limiterebbe spazi di libertà, creatività e innovazione. Ancora da approvare è anche il provvedimento sulla raccolta fondi, opportunamente prevista per tutto il Terzo Settore, incluse le imprese sociali, secondo la giusta idea che è difficile per un’impresa sociale vivere “di solo mercato”, visto che il suo “prodotto” non sempre ne ha uno. Sarà inoltre obbligatorio assicurare tutti i volontari, anche quelli occasionali: anche in questo caso ci si aspetta che il relativo provvedimento sia realistico e non introduca regole che rendano difficile o impossibile fenomeni di volontariato diffuso e spontaneo. E spesso molto numeroso.
Ci sono, tuttavia, altrettanti aspetti positivi e interessanti. Certamente lo è l’idea stessa di riordino della disciplina. Lo sono i tanti rimandi all’autonomia statutaria nella struttura degli enti; lo è, se in sede interpretativa non se ne ridurrà la portata, anche l’impianto fiscale, che tra le altre cose prevede anche la detassazione degli utili non divisibili delle imprese sociali e l’eliminazione del tetto dei 70.000 euro per la deducibilità delle erogazioni liberali. Anche l’introduzione della valutazione di impatto, se si concretizzerà in uno strumento non rigido utilizzato nel rapporto tra gli enti e la pubblica amministrazione, sarà una novità importante e positiva.
È presto per capire quali effetti avrà questa riforma. Essa andrà a disciplinare un mondo diverso e variegato, che da anni si è dovuto abituare a nascere e crescere tra regole non chiare e soprattutto non armonizzate, rispondendo a tanti soggetti diversi – regioni, comuni, agenzie fiscali e previdenziali, ministeri… – che spesso si sovrappongono nella richiesta di informazioni o dettano regole contraddittorie. Questi enti hanno bisogno soprattutto di chiarezza e di semplicità, che saranno favorite da un’attuazione completa e rapida della riforma.
È di fondamentale importanza che i provvedimenti ancora mancanti siano emanati nei tempi stabiliti, senza cedere ad astratte preoccupazioni di controllo, che negli anni hanno portato al moltiplicarsi di adempimenti formali che si sono dimostrati inefficaci a prevenire comportamenti scorretti e abusi. E che vi sia una disponibilità a modificare in itinere quanto si dimostrerà troppo limitante la vita e l’azione di una componente così importante del nostro Paese quale è il Terzo Settore.
Se è presto per capirne gli effetti, è invece il momento giusto per continuare a lavorare insieme, perché il completamento di questa riforma e la sua attuazione possano valorizzare tutto ciò che c’è e opera sussidiariamente e per il bene di tutti.