Se solo si decidesse a raccontare il perché di quel peccato di gioventù – aver preso sul serio Montezemolo – Carlo Calenda potrebbe davvero affermarsi come un potenziale leader politico per questo Paese, perché ogni tanto la sa e la dice molto più giusta della media dei politici italiani del momento, eccezion fatta per quelli che non dicono mai nulla perché il silenzio è d’oro, Paolo Gentiloni e Sergio Mattarella.
Dunque ieri Calenda, nel Transatlantico di Montecitorio, ha fatto quello che fa uno statista quando vuol dire negando. E cioè ha risposto assai bene quando è stato interpellato dai cronisti parlamentari sul perché del fatto che la presidenza del Consiglio avesse ricevuto una sua nota, datata 31 luglio, nella quale il ministro dello Sviluppo economico sollecitava una pronta istruttoria da parte del gruppo di coordinamento all’interno della presidenza del Consiglio al fine di valutare la sussistenza di obblighi di notifica e, più in generale, l’esercizio di poteri speciali sugli assetti societari di Tim Spa.
Gli hanno chiesto se questa iniziativa fosse in qualche modo ricollegabile con la filibusteria di Macron contro Fincantieri. Se fosse insomma una ritorsione. E naturalmente, e giustamente, Calenda ha negato l’evidenza, come si usa fare in questi casi: “Applicheremo con intransigenza le norme sulla golden power e proporremo una norma antiscorrerie per le aziende quotate”, aveva dichiarato poco prima nell’informativa alla Camera sul caso Fincatieri: tradendosi un po’ con quell’espressione “intransigenza”, che implicitamente confermava come le regole – tutte le regole! – possano essere applicate con intransigenza o con indulgenza… e che in questo caso il governo sceglierà, guarda combinazione, l’intransigenza…
L’avvio dell’istruttoria sull’applicazione della golden power per Telecom, ha poi continuato, “non ha nulla a che fare con la questione Fincantieri. Facciamo quello che il governo deve fare cioè applichiamo regole che esistono. Abbiamo chiesto a palazzo Chigi di verificare se esistono obblighi di notifica”. Benissimo. C’è un vecchio film di Stanlio e Ollio in cui i due, vestiti da scolaretti, se le danno di santa ragione, e quando interviene la maestra a dividerli quelli si rimettono fianco a fianco con le mani dietro la schiena, buoni e fermi. Ma quando la maestra chiede: “Chi ha cominciato?”, Stanlio, piagnucolando, indica Ollio e dice: “È lui che mi picchia”, solo che lo fa tirando fuori da dietro la schiena la mano avvolta in un guantone da boxe… E ancora: narra la leggenda giornalistica che Ferruccio Borio, mitico capocronista della Stampa di Torino degli anni Cinquanta, fonte pressoché unica (con un pensiero affettuoso alla Gazzetta del Popolo, eterna inseguitrice) per le cronache cittadine, quando voleva dare un segnale di gelo a un politicante locale, gli faceva recapitare in busta a casa il flano della sua fotografia reso inadoperabile da uno sbrego trasversale accompagnato da un biglietto che pressappoco diceva: “Purtroppo la sua foto è rovinata, non potremo più pubblicarla”, e quello puntualmente scendeva a miti consigli.
Dunque, se appena-appena un Paese come l’Italia riscopre un po’ di orgoglio e di coraggio politico, con l’armamentario legale e leguleio che la distingue – capace di asfissiare un dinosauro – può diventare la Palude Stigia delle velleità non solo francesi, ma di qualunque straniero. Dunque rispolverare una norma esistente da tempo e anche varie volte già applicata per far capire a Bollorè chi comanda in Italia ed evitare che finisca nelle mani del corsaro bretone la rete delle telecomunicazioni nazionali è sacrosanto. E se fino a ieri la politica esitava di fronte a un simile atto di forza, il comportamento infame dei francesi su Fincantieri potrebbe averle finalmente fatto troncare gli indugi.
Abbiamo preso negli ultimi dieci anni un’impressionate raffica di schiaffi, dai francesi. Schiaffi su Parmalat, schiaffi su Telecom, schiaffi su Fincantieri. Qualche schiaffetto – diciamolo – anche su Torre Valdaliga, la centrale elettrica di Savona semifallita e plurinquinante, dove però la vera colpa di Gaz de France, oggi Engie, è stata solo quella di mettersi in tandem con De Benedetti. È ora di reagire, ma per reagire sul serio lo si fa: non lo si dice. Bravo Calenda.
Unico problema: comprare la rete di Telecom non deve significare poi, per tutelarne il valore, tarpare le ali al volo di Open Fiber che sta cablando le case in modalità “fiber to the home”, cioè portando la fibra direttamente nelle case, anziché nella modalità di Telecom, “Fiber to the cabinet”, propria di Telecom, che significa portare la fibra soltanto fino agli armadietti di quartiere, continuando poi a utilizzare le diramazioni in rame della Telecom per entrare nelle case, confermandone così un valore in realtà ridimensionatosi.
Quindi: ben vengano le ritorsioni, benissimo venga farle e intanto non dirlo anzi negarlo, con l’unica avvertenza di non darsi la zappa sui piedi. Oggi con il dispiegarsi della rete in fibra di Open Fiber, una qualsiasi rete in rame si avvia a valere sempre meno, mese dopo mese. Evitiamo di comprare con il denaro dei contribuenti degli asset dal valore prospettico in ineluttabile discesa.