«Tutte le opzioni sono sul tavolo per la Corea del Nord», con queste parole Donald Trump ha risposto all’ennesima provocazione di PyongYang, il lancio di missili balistici verso il Mar del Giappone, uno dei quali – dopo aver sorvolato appunto il territorio nipponico e viaggiato per 2.700 chilometri – ha dimostrato a tutti di essere progettato per portare una testata nucleare. Di più, per la prima volta Seul ha reagito a livello militare alla provocazione, sganciando otto bombe sul confine con il Nord. Guerra alle porte? Sempre Trump ha detto che «dalla Corea è arrivato un messaggio forte e chiaro», quasi a dire che non si attendeva altro che il superamento della famosa “linea rossa”. Ma è qualcun’altro a segnalare allarme stavolta: i mercati, i quali hanno reagito e male all’accaduto.
Per un trader, quanto successo ieri è stato una sorta di evento spartiacque, anche perché «abbiamo avuto la percezione che per un certo tempo i mercati siano diventati compiacenti a uno shock potenziale e si siano create posizioni scomode in alcuni asset e mercati rischiosi». Ma non solo «É certo che quest’ultima provocazione missilistica da parte del regime di Kim Jong-un si faccia pressante nelle menti degli investitori. Dato che una tattica che forzasse tutte le parti a sedersi al tavolo delle negoziazioni sarebbe pericolosa e potrebbe ritorcersi contro, possiamo aspettarci volatilità nel breve termine con gli indici Kospi e Nikkei in calo e in seguito un apprezzamento dello yen», ha previsto Irene Goh, consigliando agli investitori di proteggersi. Di più: «La domanda è dove trovare un rifugio sicuro considerando quanto i prezzi degli asset si siano in molti casi distanziati dal valore fondamentale. Riteniamo che il punto più sicuro in cui stare non sia un posto unico ma molti. In altre parole, diversificare».
E se i listini azionari europei hanno patito fin dall’inizio l’accaduto, la mossa di PyongYang ha permesso che divenisse realtà ciò che la dissimulazione di Draghi a Jackson Hole era stata in grado di rimandare: il super euro, volato sopra 1,20 dollari. Il cross si è spinto infatti nella mattinata di ieri fino a 1,2070 e all’ora di pranzo scambiava a 1,2041. «Sembra che la situazione in Corea non riesca a sistemarsi, quindi penso si debba tenere alta la guardia – ha spiegato l’analista di Bank of Tokyo-Mitsubishi, Ufj Teppei Ino -. È difficile dare una buona lettura di quello che potrebbe avvenire dopo questi ultimi sviluppi». Il clima di avversione al rischio premiava però l’oro e il franco svizzero, tipica valuta rifugio: il cambio dollaro/franco è sceso in mattinata fino a 0,9490, nuovo minimo da circa un mese.
E i bond? Nella mattinata di ieri si consolidava qualche vendita anche sul mercato obbligazionario italiano dopo un avvio di seduta complessivamente stabile, con lo spread Italia/Germania che si allargava ulteriormente a causa del clima di avversione al rischio innescato proprio dalla notizia dell’ultimo lancio missilistico della Corea del Nord. In compenso, sempre ieri mattina il Tesoro italiano ha collocato in asta Bot a sei mesi per 6 miliardi di euro a fronte di richieste per oltre 10 miliardi: migliorata la cover ratio rispetto all’asta di luglio da 1,62 a 1,72 punti, mentre il rendimento è rimasto sempre sotto zero. Il titolo è, infatti, stato acquistato sopra i 100 (100.179 punti) con un rendimento negativo a -0,356%, ma in leggero miglioramento rispetto all’omologa asta di luglio (-0,362%). Attiva anche la Germania, la quale ha collocato 4,030 miliardi di Schatz al 2019 a un tasso negativo pari a -0,74% e con un rapporto di copertura a 1,2: la domanda da parte degli investitori si è attestata a 4,665 miliardi di euro rispetto ai 5 miliardi offerti da Berlino. Insomma, corsa mista tra panico e consapevolezza di una dinamica di mercato che ha sovra-strutture forti, leggi il ruolo della Bce, altrimenti non si spiegherebbe il dato della nostra emissione.
Qualcosa è cambiato ieri, questo è certo e abbiamo un’unica consapevolezza, se limitiamo la nostra analisi all’ambito meramente economico: se Washington può contare su un alleato al mondo, in questo momento è proprio la Corea del Nord. E vista da questo punto di vista, la reazione americana è spiegabilissima. Mentre Trump armava le parole, spalancando l’ipotesi dell’intervento, sottotraccia i segnali inviati da Dipartimento di Stato e Pentagono erano netti e sintetizzabili in tre punti: gli Usa hanno ordinato l’evacuazione dei cittadini statunitense dalla Corea del Sud; l’esercito Usa ha creato una forza su larga scala nei pressi della penisola coreana: gli Usa hanno elevato la condizione di prontezza militare da livello 3 a 4.
Detto fatto, quando gli scambi a New York dovevano ancora cominciare, la banca d’affari giapponese Nomura sentenziava in un report che «la probabilità che la guerra si scateni nella penisola coreana è ora al 35%, ma con prospettive di aumento». Ma davvero Nord Corea e Usa sono pronti alle conseguenze di un possibile conflitto nucleare? E davvero le Borse calano su questo timori, fattosi reale? Certo, quando Pechino ammette che «la tensione è arrivata al punto di non ritorno» viene davvero da attrezzarsi al peggio, ma troppi analisti scordano come l’ultimo lancio di missili di PyongYang fosse sì non atteso nella sua composizione, ovvero l’uso di un vettore potenzialmente atomico che sorvolasse il Giappone, cui molte città si sono svegliate ieri con la sirena d’emergenza, ma invece assolutamente messo in conto da tutti – Seul e Washington in testa – visto che sono in corso le esercitazioni navali congiunte Usa-Sud Corea, bollate fin dall’inizio da PyongYang come un’aperta provocazione, cui avrebbe reagito.
Insomma, tutti sapevano che Kim Jong-un avrebbe reagito a quel dispiegamento di forze, l’unica variabile era data dal grado di reazione: possibile che i mercati non avessero prezzato una possibile escalation anche solo potenziale e andassero così tanto in rosso, segnalando palese panico? Non sarà un scusa straordinaria per uno storno in grande stile sui listini, senza che nessuno se ne preoccupi, visto che la colpa è dei missili nordcoreani e non dei livelli di bolle e leverage raggiunti? Questi due grafici ci mostrano i pattern di oro ed euro, una cavalcata inarrestabile garantita – in parte – anche dalle tensione geopolitiche, le quali ad esempio sono il driver primario dell’oro. Chi ha beneficiato, però, dell’apprezzamento dell’euro? Gli Usa e continuano a farlo, da ieri oltretutto avendo sfondato la quota psicologica di 1,20: cosa vi avevo detto al riguardo nelle scorse settimane? E chi pagherà lo scotto di politica monetaria più grande adesso, se non la Bce, chiamata la prossima settimana al suo board più difficile?
Già, perché euro in overshooting e tensioni geopolitiche alle stelle paiono elementi qualificanti per una montante pressione dei mercati nei confronti dell’Eurotower, affinché faccia finalmente chiarezza temporale sull’eventuale tapering del programma di Qe, a sua volta unico driver della tenuta di crescita europea e dei tassi ridicoli cui il nostro Tesoro piazza i suoi titoli sul mercato, come vi ho mostrato prima. Le guerre, si sa, ormai si combattono prima in economia che con i missili, basti pensare al bando di trattazione delle obbligazioni petrolifere e sovrane imposto da Trump venerdì scorso all’interno del nuovo pacchetto di sanzioni verso il Venezuela.
E se l’emergenza primaria degli Usa non fosse la Corea del Nord, bensì la necessità che la Bce si faccia carico della detonazione in fase embrionale della prossima crisi, anticipandola? Davvero crediamo ai Dottor Stranamore, quando tutti sappiamo che gli interessi primari sono finanziari e non geopolitici, in questo momento? Mi sbaglierò ma qualcosa, a breve, potrebbe intervenire a spostare l’attenzione dalla penisola coreana un’altra volta, mandando ancora in cavalleria i timori di guerra. Fino alla prossima emergenza sui mercati, fino al prossimo storno necessario.