ALITALIA. Cosa sappiamo in più della procedura di cessione di Alitalia dopo la pubblicazione da parte dei commissari del bando per la presentazione di offerte vincolanti? Chi sarà il prossimo proprietario dell’ex compagnia di bandiera tricolore? Anche se è ovviamente difficile identificarne il nome si può tuttavia provare a tracciarne l’identikit proprio in base ai requisiti e ai vincoli indicati nel bando. Prima occorre tuttavia formulare una domanda: nella precedente fase di raccolta delle manifestazioni d’interesse non vincolanti i commissari sono riusciti a individuare offerte robuste, più facilmente in grado di trasformarsi in offerte definitive e di consentire la cessione di un perimetro aziendale il più ampio possibile? Se così fosse, come ritengo, è plausibile che il bando appena pubblicato sia stato ritagliato sulle caratteristiche di queste offerte, tagliando quelle con proposte di perimetro più ristrette o comunque meno interessanti.
Se così fosse, tuttavia, possiamo anche provare a tracciare l’identikit del possibile vincitore e quello dei probabili esclusi proprio in base all’analisi dei contenuti del bando. Vediamo allora in sintesi cosa prevede: in primo luogo le offerte potranno riguardare Alitalia nel suo complesso oppure il singolo lotto “aviation”, comprensivo di tutte le attività di volo e le manutenzioni, oppure il lotto “handling”, relativo ai servizi ai passeggeri direttamente prestati nelle sedi aeroportuali. Il bando precisa che: “Saranno considerate preferibili, in caso di sostanziale parità di condizioni complessive offerte, quelle che avranno ad oggetto il Lotto Unico”.
Sono inoltre previsti dei requisiti minimi dimensionali per i partecipanti: potranno infatti presentare offerte società o cordate che abbiano realizzato negli ultimi tre esercizi un fatturato lordo annuo medio di almeno un miliardo di euro oppure che abbiano avuto nell’ultimo esercizio un patrimonio netto di almeno 250 milioni. Tali requisiti scendono invece comprensibilmente, trattandosi di attività “labour intensive” e a bassa dotazione di capitale, a 50 milioni di fatturato o 25 milioni di patrimonio netto per le offerte per il lotto ‘handling’. Sono inoltre indicate le scadenze della procedura: dal 7 agosto al 15 settembre l’invio delle manifestazioni d’interesse che dovranno poi trasformarsi, anche in base all’accesso alla seconda “data room”, in offerte vincolanti entro il 2 ottobre e divenire definitive dopo un’eventuale fase di “negoziazione e/o miglioramento” entro il 5 novembre. In sostanza al termine del ponte dei Santi si dovrebbe sapere chi è il nuovo proprietario di Alitalia.
Qual è il significato di questi requisiti chiave? Intanto che è ammesso lo “spezzatino” del personale, ma non quello della flotta e dell’offerta. Questa previsione non potrà ovviamente essere gradita da nessuna organizzazione sindacale, né di tipo tradizionale né più radicale. È infatti evidente che, data la possibilità di concorrere per la sola parte volo, la totalità dei partecipanti interessati al segmento si guarderà bene dal concorrere per l’integrità, potendo disporre della successiva possibilità di ricorrere a servizi di handling esternalizzati, meno costosi in quanto basati su lavoratori più precarizzati. Dunque la formula che a parità di condizioni sostanziali si privilegeranno le offerte sul lotto unico è puramente ipotetica in quanto non destinato a manifestarsi il caso di un’offerta globale migliore o equivalente alla migliore di quelle solo “volo”.
Perché i commissari hanno scelto questa soluzione della “doppia” offerta? Immagino perché lo hanno chiesto i principali, in quanto più credibili, partecipanti alla prima fase delle manifestazioni d’interesse. Ma credo anche che non abbiano fatto bene. Nell’attuale segmentazione del trasporto aereo, infatti, le grandi compagnie europee tradizionali utilizzano per i servizi di terra principalmente personale proprio mentre sono tipicamente i vettori low cost a esternalizzarli. Era dunque prevedibile, in assenza di esplicita possibilità di spezzatino del personale, che almeno i concorrenti facenti parte della prima categoria fossero ragionevolmente disposti a concorrere per tutta l’azienda, come già fece inutilmente Air France-Klm nel 2007-08. Perché dunque concedere ex ante qualcosa di estremamente doloroso per il personale e a cui i vettori tradizionali avrebbero potuto spontaneamente rinunciare?
D’altra parte se lo “spezzatino” del personale sembra una misura che va incontro ai vettori low cost, l’impossibilità dello spezzatino e della flotta tende con molta più grande forza a escluderli. Perché mai EasyJet e Ryanair che non hanno mai fatto lungo raggio dovrebbero iniziare proprio ora e non dal loro paese principale ma dalla periferica Italia? Tra i low cost solo Norwegian fa il lungo raggio, ma non ha certo bisogno di comprarsi l’acciaccata Alitalia. Esclusi i vettori low cost dobbiamo anche escludere, per i limiti dimensionali richiesti ai partecipanti che abbiamo ricordato, soggetti economici italiani, aviatori e non. Un solo esempio per tutti: i capitani coraggiosi che si presero la vecchia Alitalia statale non avrebbero avuto i requisiti triennali per partecipare al bando di oggi.
Dunque tutto fa pensare a un grande vettore di tipo tradizionale. Ma in Europa sono solo tre e di essi uno, il gruppo Iag di British Airways che è anche quello più profittevole, non sembra proprio interessato. Gli altri due sono da un lato il gruppo Lufthansa e dall’altro Air France con Klm, due imprese già allontanate da Alitalia in almeno tre occasioni nell’ultimo ventennio. Entrambi i gruppi hanno avuto buoni risultati di bilancio negli ultimi esercizi, che sarebbero stati tuttavia affossati dalle perdite di Alitalia se fosse già stata loro. Per fortuna non lo era, ma possibile che la desiderino ora? Devo dire che non lo credo. In Germania i più contrari all’ipotesi Alitalia sono stati storicamente i sindacati, i quali hanno tradizionalmente voce in capitolo e non hanno mai desiderato rischiare in avventure a sud delle Alpi il loro salario e il loro lavoro. Quanto al gruppo AF-Klm esso è ora impegnato in un complesso programma di consolidamento mondiale attraverso incroci azionari con l’alleato cinese e quello americano Delta, assieme al quale ha acquisito il controllo di Virgin Atlantic da Sir Richard Branson. Possibile che abbiano anche posto già da ora per la problematica Alitalia? Direi poco probabile.
Ma a questo punto non restano che vettori extraeuropei, tuttavia soggetti al limite azionario del 49% che, contrariamente agli auspici italiani, non è stato cancellato dalla Commissione Europea. Chi può essere costui? Un vettore cinese? E chi è in tal caso il partner europeo che si tiene il restante 51%? Il candidato extracomunitario che più facilmente può attivare un alleato europeo a garanzia del pieno controllo è in realtà l’americana Delta, tuttavia a condizione che il suo alleato AF-Klm sia disponibile, dimenticando tutte le sconfitte passate subite in Italia, a svolgere il ruolo dell’indispensabile partner comunitario. Ma se vi fosse in campo un progetto di questo tipo il Presidente Macron sarebbe stato così risoluto nel nazionalizzare i cantieri navali di Saint Nazaire beffando l’Italia? Direi proprio di no.
A questo punto non resta più nessuno, come già ipotizzai in un precedente articolo per il Sussidiario a inizio giugno? In realtà un acquirente in pectore, che allora avevo erroneamente escluso a priori, c’è ed è ben noto: Etihad (il quale, tra l’altro, è anche l’unico a conoscere il mai depositato bilancio del 2016 e dunque la vera realtà economica dell’azienda). È l’ipotesi più inverosimile dopo i due anni di pessima gestione aziendale e le perdite record conseguite. Ma a ben pensarci è anche l’ipotesi più coerente con il carattere irrimediabilmente gattopardesco del nostro Paese nel quale tutto cambia all’apparenza, ma tutto resta uguale nella sostanza. In tale ipotesi che, ribadisco, è la più inverosimile, la gestione commissariale sarebbe semplicemente servita a far rientrare dalla finestra il vecchio gestore che era stato cacciato dalla porta dal No dei lavoratori lo scorso aprile. In tale ipotesi tutta la gestione commissariale non sarebbe altro che una gigantesca e costosa gomma da cancellare sull’esito del referendum.
Postilla: l’attento lettore del Sussidiario si chiederà come mai non mi sia venuta in mente questa ipotesi nell’occasione del precedente articolo. La risposta è semplice: perché non pensavo che il controllante di una grande azienda pervenuta all’insolvenza potesse ricandidarsi al suo riacquisto una volta ripulita dei debiti.