Generali-Mps, UnipolSai-Bper, Cattolica-BancoBpm. La bancassicurazione sembrava passata di moda, rottamata dalla grande crisi bancaria globale. E invece le cronache finanziarie italiane di fine 2017 pullulano di annunci e congetture su nuove alleanze “fra sportelli e polizze”, si sarebbe detto un tempo.
Per la verità già a quel tempo – dieci o vent’anni fa – banche e compagnie erano sempre più in concorrenza sullo stesso mercato dei servizi finanziari alle persone, soprattutto nel campo della gestione del risparmio. E già allora tutte le combinazioni sono state sperimentate a livello globale: fino alla fusione fra la maggiore assicurazione europea (Allianz) e un gigante bancario tedesco (Dresdner). Quell’operazione non riuscì: anche perché nata sulla non perfetta salute di Dresdner. Maggior successo hanno avuto certamente alcune partnership italiane, più focalizzate sul cross-selling di polizze presso gli sportelli: alleanze cementate spesso da uno scambio di piccole partecipazioni di minoranza (caso classico Intesa-Generali).
Da quali premesse può partire una nuova stagione di bancassicurazione, almeno in Italia? La prima è certamente la possibile ricostruzione di un sistema finanziario “per linee interne” all’Azienda-Italia. Fra l’ultra-liberismo ideologico (che ha teorizzato e concretamente sostenuto la cessione del controllo delle aziende italiane a soggetti esteri) e il neo-sovranismo demagogico in campo economico sta facendosi strada una linea realista: la stessa che, in fondo, ha spinto le autorità monetarie d’intesa con il sistema bancario a sobbarcarsi i salvataggi nel settore creditizio, per quanto costosi.
Il maggiore di questi è stato certamente Montepaschi: ora sotto il controllo dello Stato. Ma attesa di un ritorno alla quotazione in Borsa, già s’incrociano indiscrezioni e congetture sulla prospettiva obbligata del salvataggio Mps: la sua riprivatizzazione, quanto più rapida possibile. Ricordato che lo Stato britannico dopo otto anni è tuttora padrone di Royal Bank of Scotland e quello tedesco di Commerzbank, Il Tesoro italiano è certamente preoccupato di accelerare al massimo il disimpegno da Siena: anche per togliere una grossa “insufficienza” da una pagella-Paese già molto problematica in Europa.
Ora le Generali sono divenute azioniste al 4% Mps attraverso la conversione forzata di obbligazioni subordinate. E’ una quota seconda solo al 52% del tesoro e sopravanza quella di Axa (3%): il competitor francese storico azionista-partner di “vecchio Monte”. I presupposti di un’operazione esemplare anche dal punto di vista “geo-economico” ci sono. Una fase di tensione relativa con la Francia – da Telecom a Mediaset, da Fincantieri allo stesso UniCredit – non risparmia neppure le Generali: con un ceo francese (Philippe Donnet) e una proprietà instabile, imperniata su una Mediobanca a sua volta un po’ francese.
Un rapprochement fra Trieste e Siena, passando per Milano potrebbe mettere in sicurezza proprietaria reciproca due grandi istituzioni finanziarie nazionali; potrebbe rianimare Montepaschi sul piano strategico e dare alle Generali una scossa (dopo il rifiuto di un avvicinamento a Intesa Sanpaolo, a inizio d’anno). Considerazioni analoghe sono possibili anche per le due ipotesi minori (ma non troppo): UnipolSai, sganciatasi da banco Bpm punta a un’alleanza più solida con Bper, vicino di casa emiliano con proiezioni nazionali. E Bancobom, nella selezione di un nuovo partner, difficilmente potrà eludere l’esame del dossier Cattolica: il gruppo veronese – ora pilotato dall’ex Dg di Generali, Alberto Minali, ha la stessa esigenza di rimettersi in marcia strategica e di guardare a nuovo assetti di controllo dopo una trasformazione da cooperativa in Spa che sembra farsi meno remota.
Tutto, naturalmente, maturerà oppure no all’interno di tutte le certezze e le incertezze della situazione. Fra le prime vi è l’avanzata impetuosa di fintech, cioé la migrazione dei sistemi di pagamento dal sistema bancario alle macro-piattaforme online. Fra le seconde vi è la declinazione economico-finanziaria della “nuova Europa” 4X4: Germania-Francia-Italia-Spagna. Che non a caso vuol esordire con una stangata fiscale alle major della Silicon Valley.