Alcune recenti notizie richiamano ancora una volta la dinamica dell’inizio della crisi. Infatti quando dieci anni fa le banche smisero di prestarsi denaro tra di loro, questo accadeva perché ciascuna di loro non poteva sapere con certezza il valore di certi investimenti: e la cosa grave era che tutte avevano fatto un certo tipo di investimenti, cioè investimenti rischiosi che andavano a buon fine finché nessuno tirava le somme; questi venivano impacchettati in altri investimenti in modo da rendere il tutto poco o nulla chiaro. Quando per necessità qualcuno ha iniziato a tirare le somme, il castello di carte è crollato.



Ora ci troviamo esattamente allo stesso punto, per un motivo semplicissimo. Dall’inizio della crisi ad oggi non è stata applicata al sistema finanziario alcuna modifica di tipo strutturale. Certo, sono stati attivati fondi di salvataggio, la Bce ha fornito liquidità potenzialmente illimitata, Draghi ha promesso che farà di tutto per sostenere l’euro “costi quello che costi”. Qui occorre fermarsi un attimo a riflettere e porsi una domanda fondamentale: se qualcuno ha fatto qualche investimento sbagliato, come mai è in gioco il destino dell’euro?



La risposta può essere una sola, anche se non buona. L’euro è a rischio perché l’euro non è solo una moneta, ma soprattutto un sistema monetario, cioè un insieme di regole e norme per la gestione della politica monetaria. In qualche modo, il sistema euro era a rischio (e ancora oggi lo è) perché quelle regole non hanno mai tenuto conto delle esigenze del bene comune e della natura sociale della moneta.

Ad oggi non è cambiato nulla. E si sentono gli stessi sinistri scricchiolii che hanno preceduto lo scoppio della crisi: infatti le azioni della inglese Prevident, società specializzata in prestiti a  clienti subprime, sono crollate. Siamo alle solite: nessuno ha messo un freno, non sono cambiate le regole e le aziende, pur di trovare una qualche remunerazione in un mercato ormai asfittico, prendono rischi a volte troppo grandi. Se tutto va bene, ci guadagnano; se invece va male, i soldi persi non sono loro.



Allo stesso modo viene in mente che in dieci anni di crisi non è cambiato niente quando si viene a sapere che la Ford Credit Motor, la finanziaria della casa automobilistica americana, ha deciso di non guardare più alla storia creditizia dei propri potenziali clienti per riuscire ad aumentare le vendite di auto. In precedenza aveva già allentato i criteri per fornire finanziamenti a chi vuole acquistare un’automobile, riuscendo così ad ottenere vendite record negli ultimi due anni. Ma ora le vendite sono di nuovo in contrazione e quindi spera di fronteggiare la situazione allentando ancor di più i criteri per il credito. Insomma siamo alle solite: fiumi di denaro nei mercati finanziari ma rarefazione monetaria nell’economia reale. Non mancano i clienti, né i prodotti da vendere: mancano i soldi. Il brutto tempo meteorologico di questi giorni sembra solo una metafora della tempesta finanziaria che ci attende.