A gennaio con un euro si compravano 1,05 dollari circa, venerdì scorso oltre 1,20: il rialzo è stato di circa il 15%, con un’accelerazione nell’ultimo trimestre. Se tale tendenza continuasse e l’euro arrivasse a 1,30 sul dollaro, molte esportazioni italiane soffrirebbero un problema di competitività sul piano del prezzo o dovrebbero ridurre i margini di guadagno per restare concorrenziali. Inoltre, il turismo extraeuropeo potrebbe ridursi nel 2018. Infatti, se si confermasse un rialzo prolungato dell’euro, bisognerebbe rivedere al ribasso le previsioni di crescita del Pil per il 2018-19, portandole vicine all’1%, o sotto, dall’1,4% che qualcuno ha iniziato a ipotizzare qualche settimana fa.



Equivarrebbe a una nuova recessione. In realtà l’eventuale tendenza negativa potrebbe essere invertita da più investimenti pubblici e privati, ma questi sono ancora molto lontani dai livelli pre-2008 e non danno segni di poter bilanciare con impulso interno la dipendenza dell’economia italiana dall’esterno. Anche la Germania soffrirebbe perché la minore vulnerabilità del suo export a variazioni del cambio è vera per alcuni settori merceologici, ma non per la maggior parte, ponendo un ulteriore problema ai fornitori italiani del sistema industriale tedesco. E anche alla Germania stessa in condizioni economiche strutturali non così splendide come le cronache e statistiche correnti fanno intendere.  



Il più degli analisti mostra sorpresa per il balzo dell’euro ed esprime un’insolita varietà di opinioni sui motivi e sugli scenari futuri. L’opinione di chi scrive è che il movimento di cambio dipenda più da un calo del dollaro che dalla forza dell’euro. Tale calo è in parte dovuto a contingenze, ma in parte maggiore alla probabile volontà americana di svalutare il dollaro per dare più competitività al proprio export. La Bce è in difficoltà perché, pur non potendo dichiararlo, tutto il suo programma di reflazione dell’eurozona si basa su un euro basso. Infatti, interverrà, pur non potendolo fare apertamente, per calmierare il rialzo dell’euro. Ma non sarà facile se l’America veramente vorrà usare il dollaro basso per proteggere le sue produzioni nazionali. 



Difficile capire ora gli sviluppi. Tale ambiguità, tuttavia, suggerisce due iniziative europee: a) più stimoli interni per rendere l’Eurozona meno dipendente dall’export; b) accordo monetario euro-dollaro che tenga il cambio a un livello sostenibile per tutti. Probabilità? Per il primo punto è minima e ciò aumenta l’importanza dell’azione diplomatica per ottenere il secondo.