«Le condizioni favorevoli dell’economia permettono di sfruttare il momento per rilanciare l’Unione europea. L’economia riprende in ogni Paese e si estende. Sono stati creati 8 milioni di nuovi posti di lavoro e 230 milioni di europei lavorano, più di quanti fossero prima della crisi. Ora è il momento di costruire una Unione europea più integrata con l’occhio al 2025». Così parlò Jean-Claude Juncker ieri mattina nel suo discorso sullo stato dell’Unione all’Europarlamento di Strasburgo: un’iniezione di fiducia per ripartire dopo la grande paura dell’assalto populista, respinta in grande stile dalla Francia di Emmauel Macron e in punta di dati economici della Bce. Gli stessi dati, rivisti al rialzo, in parte responsabili di quell’apprezzamento dell’euro che spaventa la stessa Eurotower e la tiene sul chi vive rispetto al taper del Qe. Insomma, la solita presa per i fondelli. 



Nei giorni scorsi, prima e dopo la riunione del board della Banca centrale europea, ho trattato a lungo questo tema, quindi penso non ci sia bisogno di tornarci su, ma appare rivelatore il fatto che Juncker abbia snocciolato dati senza alcun principio di prospettiva: numeri uno in fila all’altro, senza spiegare cosa li renda possibili e, soprattutto, quale sia la loro realtà fattuale. Per esempio, se tutti i posti di lavoro creati siano definibili tali, visto l’abuso di assunzione a tempo determinato e con salari sotto i minimi che rendono impossibile vivere dignitosamente che si è palesato negli ultimi anni in Spagna e Italia, cifre alla mano. Ma si sa, quella di ieri al Parlamento europeo era la solita pagliacciata di inizio anno, il corrispettivo del suono della prima campanella a scuola: chi decide e cosa lo sappiamo tutti. Come sappiamo tutti che i processi decisionali stessi non vengono certo presi in sede legislativa pubblica, bensì altrove: nelle cancellerie, nei meeting pre-vertici e nei bilaterali a latere, oltre che nei contatti quotidiani fra istituzioni politiche e multinazionali, di fatto il binomio che regge la moderna società occidentale, in America come nell’Europa degli unicorni dipinta ieri da Juncker. 



Non vi pare strano, ad esempio, che a fronte della messe di sfide che l’Ue si trova di fronte, il capo della Commissione abbia voluto e sentito il bisogno di inserire questo passaggio, tra l’altro nemmeno residuale a livello di collocazione, nel suo discorso? «Non è ammissibile che dei bambini muoiano per malattie che dovrebbero essere scomparse. In Romania e in Italia devono avere accesso ai vaccini senza condizione alcuna. Non ci devono essere morti evitabili nella nostra Europa». Ora, grazie al Signore non siamo di fronte a immagini da Lazzaretto manzoniano con pire umane di bambini accatastate agli angoli delle strade, vittime del morbillo: davvero l’aumento dei casi e l’abbassamento del livello vaccinale in qualche regione italiana vale una menzione così ufficiale nel discorso sullo stato dell’Unione comunitaria? Non sarà che Juncker abbia voluto ricordare a Roma che è ancora in discussione la decisione sulla nuova sede dell’Agenzia Ue del farmaco, in trasloco da Londra e in predicato di finire o a Milano o a Bratislava? 



Si deciderà a novembre e la lotta pare aperta: aver quell’ente europeo in Italia vorrebbe dire molto, sia a livello di prestigio che di indotto per la città che di business per il settore farmaceutico: l’Italia è forse la cavia comunitaria di un do ut des poco edificante, al netto della necessità sacrosanta di tutelare i bambini e la comunità? Francamente, non vedo altre spiegazioni, soprattutto alla luce delle polemiche e dei disguidi di questi giorni sulla normativa nazionale e la sua applicazione. Poi, en passant, Juncker si è ricordato anche di parlare del tanto discusso ingresso della Turchia nell’Unione: «Durante questo mandato non ci sarà nessun nuovo ingresso, quindi neanche la Turchia entrerà nel breve periodo. Si è allontanata dall’Unione europea. I giornalisti devono far parte di un dibattito anche caldo e animato, non devono finire in prigione. Faccio appello oggi ai poteri turchi, lasciate andare i giornalisti, non soltanto nostri, smettete di chiamare i nostri leader fascisti o nazisti». Ma guarda, da aperturista a oltranza a uomo del rigore sui diritti umani, la cui repressione in Turchia non è certo questione degli ultimi giorni: qualcuno dica a Juncker, tra un vaccino e l’altro, che il tentato golpe che ha scatenato la repressione si è tenuto il 15 luglio 2016, non la settimana scorsa. Ma tant’è, non c’entrerà forse la durissima polemica fra Turchia e Germania, con Ankara che attraverso il presidente Erdogan ha detto chiaro e tondo ai suoi cittadini residenti in Germania di non votare né per la Cdu, né per la Spd alle prossime elezioni del 24 settembre? Berlino chiede e Bruxelles dispone? 

Per finire, poi, l’apertura alla cosiddetta CIA europea: «L’Unione europea deve essere più forte nella lotta contro il terrorismo. Negli ultimi tre anni abbiamo fatto progressi reali, ma ci mancano ancora i mezzi per agire rapidamente in caso di minacce terroristiche transfrontaliere. Ecco perché chiedo un’unità europea di intelligence che assicuri che i dati sui terroristi e i combattenti stranieri siano automaticamente condivisi tra i servizi di intelligence e con la polizia». L’idea che all’interno di questa nuova istituzione troveranno posto anche membri dei servizi francesi e belgi, dimostratisi negli ultimi anni dei veri ispettori Clouseau del caso, mi tranquillizza molto. 

Ma siccome la tecnologia è una gran cosa, mentre seguivo Juncker alla televisione, sul pc in streaming ieri mattina ho ascoltato con interesse anche qualcun altro. Per l’esattezza, William White, ex capo economista della Banca per i regolamenti internazionali e ora presidente dell’Economic and Development Review Committee dell’Ocse, intervistato nella notte da Bloomberg TV. E cos’ha detto, ricordando che già l’anno scorso mise in guardia tutti da «un sistema che è pericolosamente disancorato dalla realtà»? Ecco l’accusa principale: «La situazione attuale è molto simile a quella del 2008, ma oggi ci sono pericoli molto maggiori all’orizzonte. Di fronte a noi abbiamo prezzi molto alti, soprattutto per gli assets ad alto rendimento e basso rating, volatilità molto bassa, prezzi degli immobili che stanno salendo in maniera molto forte e mercati equity in continuo apprezzamento: tutto ciò messo insieme è fonte di grande preoccupazione». 

Insomma, non esattamente i cieli sempre più blu per l’economia che ci ha dipinto Juncker, senza che nessuno abbia avuto l’ardire di interrompere la sequela di idiozie che ha propinato al Parlamento Ue. Ma White è andato anche nello specifico, ad esempio quando ha ricordato che «i problemi di debito dell’India partono da lontano e presentano seri argomenti legati alla governance, incluse le banche a controllo statale», ma anche che «la situazione debitoria della Cina non è molto differente da quella dell’India, ma l’accelerazione dei prestiti e della crescita creditoria di Pechino è molto veloce. Per questo, a spaventare non è solo il livello del debito cinese, ma la sua velocità di accumulazione, tale da farci pensare che alcuni di quei prestiti non saranno ripagati od onorati a livello di servizio del debito». 

Poi, finalmente, qualcuno che ha una parola di saggezza sulla situazione generale: «Noi non abbiamo un problema di liquidità che le Banche centrali possono risolvere, se abbiamo troppo debito ciò che ci viene incontro è un problema di risoluzione o solvibilità di quello stesso debito e solo i governi nazionali possono dare risposta a un problema simile. Il mondo ha bisogno di maggiore espansione fiscale, riforme strutturali e anche un occhio più attento verso alcune necessità di write-off del debito. In parte, anche alcune istituzioni finanziarie forse dovrebbero essere ricapitalizzate. Una contrazione monetaria da parte delle Banche centrali ormai è inevitabile, ma dobbiamo stare attenti». Insomma, ciò che Juncker non ha detto riguardo l’economia Ue, dipingendola unicamente come rose e fiori, ma che, soprattutto, non abbiamo mai sentito dire né dalla Fed, né dalla Bce, né dalla Bank of Japan: siamo sull’orlo di un redde rationem che non ha una soluzione indolore. Anzi, peggiora ogni singolo giorno. 

Ecco come White ha concluso l’intervista: «Siamo in una situazione dove ogni uomo pensa per sé. E non sappiamo quali saranno le conseguenze di lungo termine di un atteggiamento simile». Voi di chi vi fidate di più, di Juncker o di White?