La cosa che mi ha sempre affascinato dell’economia è che si basa sui numeri, sulle cifre, sui dati. Non puoi lasciarti andare a troppi sofismi, a citazioni dotte, a giochi di parole e cortine fumogene: se il tuo Pil è 0,3% puoi mettere in campo tutte le revisioni al rialzo che vuoi, destagionalizzare, ma se uno sa leggere i numeri ti frega. Ultimamente, però, i continui giochi delle tre carte posti in essere dalle stesse Banche centrali sembrano aver sdoganato una nuova branca dell’economia: i conti a mio favore. D’altronde, è la narrativa delle stesse istituzioni finanziarie a facilitare la diffusione: quando hai la Bce che alza le stime di crescita e contemporaneamente si lamenta dell’euro in apprezzamento, c’è poco da fare, siamo alla tragicommedia. Ma anche a livello statale, la danza dei numeri è diventata passatempo molto diffuso. Ieri Intesa Sanpaolo e il Centro Einaudi hanno presentato l’Indagine 2017 sul Risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani e il dato principale che è emerso cozza non poco con la realtà che, a mio avviso, continuiamo a vivere: quest’anno riemerge la capacità di risparmio delle famiglie che si era persa negli anni più bui della recessione. 



Dati alla mano, la propensione media al risparmio risale, portandosi in linea con il dato del 2001 (11,8% contro il 9,6% del 2016): le famiglie in grado di risparmiare salgono dal 40% al 43,4%, un graduale recupero del controllo dei propri bilanci. Vediamo qualche dettaglio, come riportato da MilanoFinanza: «Questo ritorno a una maggiore capacità di accantonamento è il riflesso del forte aumento (dall’82% al 92%) della quota di intervistati che nel 2017 si dichiara finanziariamente indipendente, visto che la percentuale è ai massimi e sottolinea la ripresa del controllo delle famiglie anche sulla possibilità di spesa. Calano invece i non indipendenti, passando dal 9% a poco meno del 3% del campione. Circa il 61% degli intervistati dichiara di godere di un reddito sufficiente o più che sufficiente (nel 2016 era il 47,2%). Un salto di qualità è anche nella tipologia di redditi che sono prodotti. C’è un ritorno dei redditi da lavoro, che rappresentano nel 58% dei casi la prima fonte di reddito degli intervistati, contro percentuali che negli anni peggiori della crisi erano scese sotto la metà». 



E ancora: «Grazie a un miglioramento delle condizioni economiche diventa, per così dire, più facile accumulare risorse e ciò non soltanto nel cosiddetto risparmio non intenzionale (ovvero di coloro che sono riusciti a mantenere il controllo del bilancio famigliare e così alla fine dell’anno si sono trovati ad aver speso meno di quanto avessero incassato), quanto, soprattutto, sul fronte di quello intenzionale, cioè gli italiani che hanno risparmiato con uno scopo preciso. La quota dei risparmiatori non intenzionali ha recuperato circa un punto percentuale dal 2016, raggiungendo il 21,4% del campione e la brusca contrazione iniziata nel 2012 sembra definitivamente superata. Nel 2016 i risparmiatori intenzionali erano un quinto del campione, quest’anno ritornano al 22%, avvicinandosi alla cifra fisiologica. Il fatto che la crescita dei risparmiatori intenzionali sia superiore a quella dei risparmiatori non intenzionali indica che le famiglie stanno tornando a progettare. L’analisi delle motivazioni al risparmio dei risparmiatori intenzionali vede come prevalenti i motivi precauzionali (46,3%): tuttavia il dato, che aveva visto un rilevante incremento nel 2016, è tornato nel 2017 ai livelli precedenti». 



E infine: «Più ottimismo anche in vista del pensionamento. Il 41% circa dei capifamiglia intervistati reputa che, in corrispondenza dell’età della pensione, potrà godere di un reddito per lo meno sufficiente: nel 2016 la percentuale era di ben dieci punti inferiore». Ma dove hanno fatto il sondaggio, sull’isola di Fantasilandia? Viviamo in un Paese in cui, dati Confindustria presentati sempre ieri, ci sono 7,7 milioni di persone che il lavoro non sanno nemmeno cosa sia e, peggio, che nel 2016 ha visto solo un sesto dei 15-24enni occupato (16,6%), contro poco meno della metà in Germania (45,7%) e quasi un terzo nella media dell’Eurozona (31,2%), eppure si parla di ritorno al risparmio e di prospettive positive per il futuro. Ma sempre ieri, altri dati. L’Istat confermava infatti che il tasso di inflazione era risalito all’1,2% ad agosto 2017, dall’1,1% di luglio, nei dati definitivi. L’indice nazionale dei prezzi al consumo aumentava anche su base mensile, con una crescita dello 0,3%: «La lieve ripresa dell’inflazione si deve principalmente ai prezzi dei Beni energetici non regolamentati, la cui crescita si porta a +4,3% (da +2,1% del mese precedente) e alla dinamica dei prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (+4,4%, in accelerazione dal +3,2% di luglio. L’inflazione di fondo, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, sale di due decimi di punto percentuale (+1,0% da +0,8% di luglio), mentre quella al netto dei soli beni energetici si attesta a +0,9% (come nel mese precedente). L’incremento su base mensile dell’indice generale è dovuto in larga parte ai rialzi dei prezzi dei servizi relativi ai trasporti (+3,4%), il cui andamento è influenzato da fattori stagionali. L’inflazione acquisita per il 2017 è pari a +1,4% per l’indice generale e +1,0% per la componente di fondo». Insomma, inflazione da vacanze. 

«Tale livello dell’inflazione comporta ricadute per le famiglie, in termini annui, di +363,45 euro», ha subito commentato Federconsumatori: «Una crescita dei prezzi dettata dall’aumento dei costi dei carburanti, nonché di quelli legati ai trasporti. L’incremento dei prezzi avviene in forte contrasto con l’andamento dei redditi delle famiglie, ancora in forte crisi», dichiarava Emilio Viafora, presidente dell’associazione. «L’elevato tasso di disoccupazione (i cui lievi accenni di ripresa riguardano solo i contratti a termine) erode sempre più i redditi delle famiglie, specialmente di quelle in cui almeno uno dei componenti ha perso il lavoro o non trova occupazione», proseguiva Viafora. A detta del quale, «tale andamento incide in maniera del tutto negativa sulla domanda interna che, infatti, stenta ad allontanarsi dallo zero. In tale quadro, risulta indispensabile intervenire per il rilancio dell’occupazione, che superino la logica dei bonus, agendo invece attraverso un taglio delle tasse sul lavoro». 

Chiedo scusa, ma chi ha ragione? Chi ci dice che l’occupazione è in aumento, visto che sale la propensione al risparmio di fatto da reddito principale, chi vede il bicchiere equamente diviso, ma sottolinea il dato occupazione come una criticità (fatto che mal si concilia con la propensione al risparmio nella sua accezione positiva del termine, almeno a casa mia) o chi ci dice che il livello occupazionale e quindi salariale sono bloccati, tanto che i consumi stagnano pericolosamente? Cosa fanno gli italiani, risparmiano e non mangiano? Perché, seppur il mio riassunto possa apparire grezzo, il quadro generale che emerge sarebbe questo, fondendo insieme i dati che sono stati resi noti nella stessa mattinata. 

Di chi fidarsi? Forse del metodo classico di chi vive nel mondo reale e non della politica economica, ovvero guardarsi in giro al bar, al supermercato, in pizzeria, nei mercati rionali. Guardare quanto sono piene le sporte, quanta gente in meno prende il caffè, quanto diminuiscono le presenze fra i tavoli dei ristoranti (certo, se si fanno i sondaggi nella zona della movida milanese, l’Italia appare di colpo come un cantone svizzero) e così via. Perché con il massimo del rispetto, questi ultimi otto anni non ci hanno fornito esempi edificanti da parte delle banche rispetto alla vita reale dei cittadini, alle loro esigenze e alle dinamiche del credito, come ci mostra questo grafico che invito chiunque a smentire: hanno pensato ai bilanci, ai tagli di personale e filiali (è di ieri il piano lacrime e sangue per tamponare i disastri del management di Carige, 1.000 dipendenti in meno e 120 filiali chiuse) per evitare aumenti di capitale, nonostante quanto gli sia stato regalato e continui a essere regalato dalla Bce. 

Le stesse banche che non devono tremare più di tanto per i loro errori, visto che la famosa Commissione d’inchiesta nata per indagare sul “salvataggio” delle popolari è stata istituita sempre ieri e con un obbligo statutario chiaro: prima relazione fra sei mesi e fra un anno quella finale. Fra sei mesi la Camere saranno sciolte, in attesa del voto. Ennesima presa in giro alla faccia nostra. Esattamente come i risultati da Bengodi dello studio di Intesa. Magari è ora che vi svegliate, anche a livello di fonti informative: cosa ne dite?