Se la prima invenzione “generativa” dell’uomo è stata la ruota, perché ne ha straordinariamente potenziato la capacità di collegarsi col prossimo, finché ci sarà comunicazione fisica ci saranno spostamenti su ruote, ruote avvolte e protette da pneumatici. Ecco, sono queste poche ma indiscutibili certezze che, di fronte a smartphone venduti a 1000 euro per bollosi motivi di esaltazione collettiva, confortano. C’è un’economia reale – e oggi è d’obbligo pensare a Pirelli, a proposito di ruote – che, come dire, poggia le gomme sul concreto, sul terreno, e trasmette fiducia nel futuro. Ed è con questo auspicio che si apre stamattina il periodo di collocamento (pardon: ritorno) in Borsa dei titoli della multinazionale italiana del pneumatico. L’Initial public offering (Ipo) parte oggi per concludersi il 28 settembre, salvo proroga o chiusura anticipata. 



Fermi un attimo: multinazionale “italiana” anche se il controllo è e resterà di Chemchina? Ecco un primo punto peculiare, e qualificante, dell’operazione. Con il ritorno alla dimensione pubblica, la nuova Pirelli a controllo cinese ha sottolineato però che per spostare know-how tecnologico fuori dall’Italia o delocalizzare il quartier generale, lo statuto prevede che occorrerà la maggioranza qualificata del 90% degli azionisti, mentre i cinesi si ridurranno, attraverso l’Ipo, nei dintorni del 45%. Questo significa che il nocciolino italiano conserverà il diritto di veto su un eventuale trasloco anche quando, tra un po’, Marco Tronchetti Provera, cui per ora restano tutti i poteri, passerà la mano.



Le previsioni sull’esito del collocamento – a quel che si apprende alla vigilia – sono piuttosto buone, da parte degli analisti, tanto più che la forchetta di valorizzazione della società va da 6,3 a 8,3 miliardi di euro. Secondo un’indiscrezione riportata qualche giorno fa da Bloomberg, invece, il mercato si aspettava un equity value complessiva di 9 miliardi di euro (10,8 miliardi di dollari), perché “il multiplo implicito contemplato da una valutazione del genere accosta (avrebbe accostato, ndr) Pirelli al peer finlandese Nokian Renkaat Oyj”. Ma c’è stato anche chi fra gli analisti accostava addirittura la Pirelli alle aziende del settore del lusso, da Ferragamo a Ferrari o Bentley, e come tale l’avrebbe valorizzata ancora di più…



In effetti, si sente già l’influsso, in questo senso benefico, della cultura cinese che si è ben saldata all’impostazione data alla gestione da ormai trent’anni da Tronchetti. Lungo termine e sostanza. Niente avventurismi. Reinvestimenti forti. Molta ricerca. Pirelli era uscita da Borsa Italiana nel 2015, quando China National Chemical Corp. (ChemChina) l’aveva acquistata per circa 7,4 miliardi di euro. 

Il profilo industriale sottolineato da Pirelli è quello della “pure consumer tyre company”, ma focalizzata sui prodotti High Value (ad alto valore), vale a dire quelli tecnologicamente più avanzati, ad alta crescita e ad alta redditività. Proprio questo segmento ha sostenuto i volumi di vendita e quindi i ricavi del gruppo della Bicocca nei primi sei mesi di quest’anno e continuerà a farlo anche nei prossimi anni. 

L’azienda prevede da qui al 2020 i ricavi crescere di almeno il 9% ogni anno con una incidenza del prodotto “High Value” in salita dal 55% del 2016 al 63% a fine 2020. E quindi gli investimenti, pari a circa il 7% dei ricavi annui, verranno destinati per oltre l’80% proprio ai segmenti ad alto valore.