ALITALIA. Se l’Argentina poteva essere considerata fino a poco tempo fa la Patria indiscussa della metafisica, bisogna dire che l’Italia, da culla della fantasia e creatività, si sta trasformando rapidamente in quella della metafisica, ma pure del nonsenso. Come si vede in tutta la questione Alitalia, che da ormai quasi due decenni si trascina tra politiche sia industriali che di Paese che definire scellerate diventa riduttivo, sconfinando ormai nell’arte del grottesco.
Da diventare la più grande compagnia europea con la fusione con Klm nel 1998 nella massima logica (che però all’epoca non fece i conti con la già pirandelliana politica), ora si è arrivati al capitolo “spezzatino” di una saga dove le colpe, come in molti altri settori economici del nostro Paese, vengono pagate esclusivamente dai lavoratori, visto che manager e politici (progressisti!) si giocano la partita fregandosene altamente degli interessi reali di una nazione. Sì, perché ormai, vista la scomparsa di molte realtà industriali italiane e il loro passaggio in mani straniere, la nostra industria principale rimane il turismo, anche perché nutrito da un patrimonio sia storico, che naturalistico e culturale unico al mondo.
Visto che il mondo da un po’ di tempo viaggia in aereo, dato che le grandi navi hanno preso la direzione della pura vacanza e da un po’ di tempo non si occupano più di viaggi di massa, non ci vuole tanto a capire che il trasporto aereo ha per l’Italia un’importanza fondamentale. Oltretutto perché fino a non molto tempo fa eravamo detentori di un ampio bagaglio culturale proprio in questo settore, ma purtroppo non abbiamo fatto i conti con chi ha detenuto il potere sia politico che economico, tutto teso a fare il contrario di quello che si chiama “Sistema Paese”. Fino ad arrivare all’attuale situazione per cui, dopo le roboanti dichiarazioni politiche che parlavano di un clamoroso successo dell’asta e le rigorose smentite dei diretti interessati sulla questione “spezzatino” (ossia la vendita del vettore separatamente per settori) tra tutte le offerte per Alitalia, stando sempre ai diretti interessati, non ce n’è una che punti ad acquisirla interamente.
E che tra i contendenti rimasti in lizza vi sia Ryanair, una compagnia che ha avuto sì uno sviluppo enorme specialmente in Italia, ma a prezzo di costituire la furbata di uno scaltro imprenditore nei confronti di uno Stato che, in pratica attraverso regioni e comuni, la finanzia. Gli ultimi casi che sono scoppiati, quelli di Puglia e Abruzzo, sono emblematici di una politica economica che esclude la nazionalizzazione di un settore che da anni registra guadagni clamorosi con possibilità di inserirsi in un contesto di grossi cambiamenti mondiali (l’apparizione dei voli intercontinentali a basso costo), il tutto confacente alla politica di sviluppo turistico nazionale, ma che allo stesso tempo fa sì che uno dei contendenti sia mantenuto in pratica dallo Stato stesso (e paghi le tasse altrove e imponga contratti di lavoro irlandesi).
E così, mentre la metafisica Argentina ha rinazionalizzato da anni la propria compagnia aerea messa al servizio dell’economia del Paese, la patria del neorealismo si scopre pirandelliana nella sua volontà di affossare sempre di più l’economia di un Paese che potrebbe avere tutti i numeri per emergere ancora e imporsi, ma che da anni viene letteralmente condotto verso un inspiegabile harakiri.