I dati ufficiali arriveranno tra qualche settimana, ma vi sono fondati motivi per ritenere che la stagione estiva abbia fatto segnare un record per l’industria turistica italiana, raggiungendo e superando il numero di arrivi e presenze degli anni precedenti la crisi del 2009. Le ragioni di questo successo, in verità, sono solo in parte da attribuire alle ragioni dell’offerta, cioè al miglioramento delle opportunità di viaggio e di soggiorno: in questi anni il settore turistico italiano non è stato oggetto, con qualche eccezione come vedremo, di sostanziali miglioramenti e anzi alcuni elementi, per esempio la crisi dell’Alitalia, avrebbero potuto comportare ricadute negative anche pesanti. 



La ragione principale della crescita è allora imputabile a una serie di condizioni di carattere internazionale. In primo piano vi è l’estendersi delle crisi politiche e delle tensioni sociali in aree dove si indirizzava una quota significativa del turismo europeo. Tutta l’Africa settentrionale dal Marocco all’Egitto ha visto aumentare i fattori critici e i conseguenti potenziali rischi per i visitatori. E altrettanto è avvenuto per la Turchia e almeno in parte anche per la Grecia. In secondo luogo, vi è l’aumento della domanda turistica verso l’Europa da parte della Cina e altri paesi “emergenti”, per ora soprattutto attraverso i viaggi organizzati.



Non sono tuttavia mancati anche elementi interni di richiamo. Innegabile, per esempio, è l’effetto positivo a livello di immagine dell’Expo 2015, che ha peraltro contributo a far crescere l’attrattiva di Milano e della Lombardia come meta turistica. Allo stesso modo una svolta molto costruttiva è stata data dalla valorizzazione di alcuni musei e beni culturali anche sotto la spinta dei nuovi responsabili italiani ed esteri. Patrimoni come la reggia di Caserta, Pompei, gli Uffizi, sono tornati a essere fonte di motivazione per i “grand tour” del XXI secolo.

Nel suo complesso, tuttavia, il panorama dell’industria turistica italiana appare ancora polverosamente fermo di fronte alle possibilità (enormi) di valorizzare i beni culturali e le meraviglie naturali del Paese. I passi falsi compiuti nel passato sono stati notevoli. È difficile non giudicare un errore l’aver lasciato alle Regioni la responsabilità della promozione turistica: vi è stata una moltiplicazione delle iniziative, ma con sempre minore rilevanza e impatto sul pubblico. Il brand Italia non è stato difeso e promosso, nonostante il vantaggio competitivo di partenza che avrebbe potuto avere. All’estero ha poco senso promuovere la Calabria o le Marche, indicazioni che rischiano di restare praticamente sconosciute. E altri errori sono stati commessi nella dilettantesca promozione attraverso inaffidabili siti web.



Per il turismo dovrebbe valere la massima “promuovere globalmente e agire localmente”. Promuovere vuol dire non solo pubblicità e propaganda, ma anche e forse soprattutto, presenza nei social network, strategia aperta nelle reti di trasporto, capacità di organizzazione. E agire vuol dire valorizzare le mille realtà locali partendo dalla difficile capacità di estrarre valore senza esaurirne le risorse.

L’esempio di Venezia è emblematico della difficoltà di valorizzare un gioiello unico al mondo senza fare in modo che la crescita del turismo si trasformi in immagine negativa e divenga esso stesso un ostacolo a ulteriori sviluppi. Ne è testimonianza il bel libro di Angela Vettese “Venezia vive – Dal presente al futuro e viceversa” (Ed. Il Mulino, pagg. 204, euro 15) in cui si mettono in luce i rischi della tendenza in atto di vedere la città sempre meno popolata dai suoi abitanti e sempre più soggetta all’invasione disordinata dei turisti. “Venezia – scrive Vettese nelle conclusioni – può diventare un laboratorio diffuso in cui beni durevoli come l’architettura, i musei, i teatri, le chiese, ma anche tutti gli eventi momentanei che connotano le città d’arte possano attivare processi di interazione tra gli abitanti e i visitatori, non come limoni da spremere”.