Due giorni fa il Financial Times ha dedicato una paginata al Movimento cinque stelle come prima puntata di una serie sui “populismi”. Il ritratto non è stato per niente lusinghiero e sono stati evidenziati problemi di trasparenza, conflitti di interesse, oltre a citazioni di Casaleggio davvero poco rassicuranti. A centro pagina campeggiava un bel grafico sulle intenzioni di voto degli italiani in cui il movimento fondato da Grillo emergeva come serio contendente per la vittoria alle elezioni. Facciamo noi l’equazione: un partito molto discutibile rischia di vincere le elezioni in un Paese fragile economicamente e politicamente.



Ieri Goldman Sachs ha pubblicato un report completo sull’Italia, con annesse interviste a Giavazzi e Mustier, per rispondere a tre domande: cosa succede all’Italia se torna la volatilità? Andrà al potere un Governo anti-Europa? Come si può aumentare la crescita? Il cuore del report è il tentativo di capire se per l’Italia si possa aprire un’altra crisi come nel 2011/2012; una crisi, aggiungiamo noi, fatta a freddo e in malafede dagli amici europei; lo dimostrano anche i resoconti dei collaboratori di Obama. Chiedersi se in Italia ci sarà un’altra crisi stile 2011 significa in realtà chiedersi se “l’Europa” franco-tedesca regalerà all’Italia un’altra mazzata. Citigroup si chiede invece se non ci si debba augurare un governo senza maggioranza, e senza responsabilità di fronte agli elettori, per completare le “riforme del 2011”; riforme che servono sia all’Italia che all’Europa.



Nell’attuale contesto è singolare che all’Italia vengano dedicate così tante attenzioni. Le banche centrali stanno pompando liquidità, le tensioni geopolitiche sono alte, la politica americana è in subbuglio e tra poco ci saranno le elezioni in Inghilterra. Il debito italiano continua a essere venduto a costi molto contenuti e, in teoria, in Italia c’è finalmente la ripresa. Eppure per l’Italia si sta avvicinando una fase decisiva che a molti sfugge completamente. Un articolo pubblicato sul Corriere della Sera da Francesco Giavazzi aiuta a capire quale sia la fase decisiva che si avvicina per l’Italia. L’autore non è sicuramente un pericoloso populista. Dice Giavazzi: “In Europa si stanno preparando riforme che influiranno sulla nostra economia molto più di tutte le leggi che in Parlamento si dibattono in queste settimane, a cominciare dalla prossima Legge di stabilità”.



La questione è la possibilità concretissima che Germania e Francia trovino un accordo su un bilancio europeo comune per “governare l’economia dell’eurozona”. La proposta di Schauble era quella di trasformare l’Esm in una sorta di Fondo monetario europeo per aiutare gli stati del sud Europa e per avere maggiore influenza sui bilanci statali. La questione, al di là dei tecnicismi, è ormai chiara. Il progetto europeo non può funzionare senza un salto in avanti nel piano di integrazione. Questa visione è ormai di scuola, come dimostrano le recenti dichiarazioni del ministro delle finanze francese. Siccome bisogna mettere in comune i rischi, perché si sarà integrati, prima bisogna mettersi d’accordo sulle regole, altrimenti gli stati deboli si approfitterebbero, senza pagare il biglietto dell’integrazione, di quelli più forti.

Dice ancora Giavazzi: “Premesso che un bilancio comune è nell’interesse di tutti, e quindi anche nostro, il tema è come si procederà al varo di quelle regole. O meglio quanto rapidamente esse entreranno in vigore, dato che è nell’interesse di tutti prima o poi adottarle.” L’Italia, dice ancora Giavazzi, “dovrebbe essere irremovibile sulla simultaneità fra interventi per limitare il rischio e nascita di un bilancio comune”. Per come si stanno mettendo le cose, parafrasiamo noi, l’Italia rischia di subire un’applicazione di regole imposte dall’Europa, contro i suoi interessi, firmando una cambiale in bianco su un bilancio comune, l’integrazione, che è controllato da altri con regole che oggi la escludono. Ci sveniamo per un’integrazione europea che è in realtà il dominio franco-tedesco travestito e che è contro di noi.

Se all’Italia viene imposto una mega patrimoniale, per esempio, fatta con i tempi e i modi decisi dagli “amici” francesi e tedeschi si produrrebbe una maggiore integrazione europea, perché nessuno si potrebbe più lamentare del debito italiano, ma le famiglie e l’economia italiane ne uscirebbero distrutte; l’Italia diventerebbe all’istante il meridione d’Europa. C’è una differenza sostanziale però. In queste stesse settimane si discute di trasformare le istituzioni europee allargando i temi su cui si decide a maggioranza, dei Paesi membri, e non all’unanimità. Sono gli stati a decidere e non i cittadini con il loro voto per cui quello di un italiano conta come quello di un tedesco. L’asse franco-tedesco spinge sull’integrazione, ma è chiaro a tutti che è questo asse che ha il potere di fatto sulle istituzioni europee.

La crisi del 2011-2012 ha trasferito molto potere sostanziale dall’Italia all’Europa con una devastazione economica che a distanza di cinque anni ha a malapena iniziato a rientrare. L’asse franco-tedesco ha un solo grande problema ed è l’Italia. Per due ragioni: la prima è che l’Italia è un’economia avanzata con 60 milioni di persone e per questo stesso motivo ha molto più potere negoziale della Grecia. Il secondo è che l’Italia è il Paese che più è stato penalizzato dal processo di integrazione europea e che ha meno interesse di tutti a un asse franco-tedesco, che finora ha guidato l’Europa, che ha come principale concorrente e “nemico” proprio l’Italia. Prendiamo ad esempio il debito pubblico. Il modello italiano era sostenibile, esattamente come lo è il Giappone, perché gli italiani, con il più alto tasso di risparmio in Europa e tutti possessori di casa, potevano finanziarlo senza problemi. Un altro esempio: le regole decise in sede europea per valutare i rischi degli attivi delle banche non hanno mai tenuto conto di molte garanzie che le banche italiane chiedevano e ottenevano. Un altro esempio è lo squilibrio che l’Italia ha subito nelle acquisizioni intra-europee. All’Italia per tante ragioni, compresi demeriti suoi, sono state applicate regole che vanno bene per francesi e tedeschi, ma sono devastanti per il nostro modello. Nelle crisi che si sono succedute l’Italia non ha potuto fare politiche anticicliche per “stare in Europa”. Il risultato è che il processo di integrazione europea ha fatto divaricare la crescita tedesca e italiana che avevano marciato agli stessi tassi dal dopo guerra.

Il salto in avanti nell’integrazione europea che adesso è guidata dall’asse franco-tedesco per gli interessi franco-tedeschi e che va malissimo per l’Italia può avvenire solo avendo neutralizzato l’Italia stessa. L’Italia si neutralizza da sola perché di queste cose non si parla, e se ne dovrebbe parlare molto più che della finanziaria anche per Giavazzi, e perché in nome dell’ideologia dell’integrazione europea si giustifica qualsiasi sopruso, come nel caso di Stx-Fincantieri, e perché nessuno ha il coraggio di dire – bisogna leggere i giornali inglesi – che questa integrazione, certo anche per demeriti italiani, è stata devastante per l’Italia. Se l’Italia non si neutralizza da sola si deve “servirle” una crisi come nel 2011.

Il problema non è l’integrazione europea; il problema è che l’Italia, la terza economia dell’area euro e 60 milioni di persone, non solo non è nel gruppo di chi prende le decisioni, ma che in quel gruppo si perseguono interessi palesemente nemici dell’Italia. Gli articoli e le ricerche degli ultimi giorni suggeriscono che il momento della verità sia molto più vicino di quanto possa trasparire dal dibattito italiano. L’Italia dovrebbe prima capire cosa sta succedendo e poi trovare degli amici, al di fuori dell’Europa, per uscire dall’isolamento politico assoluto in cui è.