Mi scuserete se sarò breve e glisserò sulle idiozie delle versioni ufficiali e propagandiste che stanno attorno alle cifre del Bollettino mensile della Bce pubblicato ieri, ancorché largamente anticipato sul finire della scorsa settimana. Sono stanco, ripeto le stesse cose da mesi, perché per mesi i cosiddetti decisori continuano a coprire le carte in tavola, a bluffare, a inventarsi ogni scusa più o meno plausibile – dal terrorismo alla Corea del Nord, dall’euro forte agli uragani – per non ammettere che non hanno la minima idea di come uscire dal cul-de-sac in cui sono finiti. Ieri, poi, l’Eurotower è arrivata al ridicolo assoluto, svelando però qualcosa di interessante: l’agenda politica è entrata in modalità operativa. In un mondo dove non contano più i dati macro, ora non contano più nemmeno le percentuali: conta chi le genera, siamo al particolarismo della bugie economica. Il tutto, in chiave politica e sociale. 



Diamo una rapida occhiata. La Banca centrale europea ha confermato la revisione al rialzo della crescita per il 2017 per l’Eurozona: il Pil crescerà nel 2017 al 2,2% dall’1,9% precedente, mentre restano invariata quelle per il 2018 e 2019 rispettivamente all’1,8% e all’1,7%. Quanto alle prossime decisioni di politica monetaria, si spiega che l’Eurotower «ha mantenuto invariato l’orientamento di politica monetaria e deciderà in autunno riguardo una calibrazione degli strumenti nel periodo successivo alla fine dell’anno». Francoforte spiega poi che negli ultimi mesi l’inflazione ha registrato «un lieve aumento, ma nel complesso resta su livelli contenuti e di conseguenza, è ancora necessario un grado molto elevato di accomodamento monetario». La solita manfrina. Sulle prossime mosse dell’Eurotower, infatti, incidono soprattutto le previsioni sull’inflazione, che la Bce ha rivisto al ribasso per il 2017 a 1,5%, per il 2018 a 1,2% dal precedente 1,3% e per il 2019 a 1,5% dal precedente 1,6%. 



Ma ecco la novità, relativa al mercato lavoro. «Nell’eurozona durante la ripresa l’immigrazione ha dato un ampio contributo positivo alla popolazione in età lavorativa, riflettendo soprattutto l’afflusso di lavoratori dai nuovi Stati membri dell’Unione europea. A sua volta, ciò ha verosimilmente avuto un effetto considerevole sulla forza lavoro, in particolare in Germania e Italia. Sebbene l’offerta di lavoro nell’area dell’euro stia continuando ad aumentare, negli ultimi dieci anni il suo tasso di crescita ha subito un rallentamento». Ma non basta. «Inoltre, l’aumento della forza lavoro durante la ripresa economica è stato trainato dalla partecipazione femminile. Tale aumento e il modo in cui tale partecipazione differisce da quella maschile sono riconducibili in larga parte alle divergenze esistenti fra il livello di istruzione degli uomini e quello delle donne». Infatti, «nella popolazione femminile in età lavorativa la percentuale di donne con un’istruzione terziaria è più elevata rispetto all’analoga percentuale fra gli uomini». 



Bene, facciamo un attimino pace con il cervello, esercizio complicato quando si fa riferimento a un’istituzione – la Bce – che si spaventa per una tendenza al rialzo dell’euro in un contesto di crescita economica: come dire che alzando il riscaldamento, fa più caldo in casa e ci si lamenta se si suda. Stranieri e donne, traino della ripresa: ma non sono le stesse categorie che, in ogni dove, vengono dipinte come quelle che subiscono le maggiori ingiustizie salariali e a livello di diritti sul lavoro? Quindi, la Bce ci sta finalmente dicendo che il Re è nudo: in un contesto di Banche centrali come unici motori immobili delle dinamiche economiche, esiste un segreto e silenzioso patto di do ut des. Ovvero, noi reggiamo i mercati affinché l’1% del mondo continui a pagare bonus e dividendi e inguattare contante nei paradisi fiscali, però le condizioni di lavoro devono subire continui, strutturali e progressivi processi di dumping, altrimenti la macchina si ingrippa. 

Il mio non è un ragionamento da “gli stranieri ci rubano il lavoro”, ma nemmeno da “gli stranieri fanno i lavori che gli italiani non vogliono più fare”: sono due ali estreme, giuste e sbagliate entrambe allo stesso tempo. Esiste però una mediazione interpretativa e quella della Bce è perfetta: occorre includere soggetti che rientrano storicamente nelle fasce deboli, ma, stante le politiche messe in campo finora, occorre farlo con una strutturalizzazione della precarietà e del principio dell’esercito industriale di riserva, nel caso delle donne quasi sempre declinato nel comparto dei servizi. Siamo pronti a rinunciare al sostegno delle Banche centrali e al loro favoloso mondo dei cieli sempre blu? Se sì, mettiamo in conto che potrebbe crollare tutto, come è successo a Toys’r’Us, la grande catena di giocattoli retail americana che l’altro giorno ha presentato i libri in tribunale: bancarotta. «La concorrenza del commercio on-line ci ha ucciso», ha dichiarato sconsolato l’amministratore delegato lunedì. 

Quello che vedete nel grafico più in basso è l’andamento del bond dell’azienda con scadenza 2021: sapete in quanti giorni il suo valore è passato da 100 (massima solvibilità, ripaga tutto) a 9 (default alle porte, bye bye ai soldi investiti)? Nove giorni di contrattazione. Ripeto, in cifre: 9. È la realtà in cui stiamo vivendo, una pia illusione globale: quel bond non valeva affatto 100 quindici giorni fa, perché è da mesi e mesi che Amazon e soci stavano drenando clienti e quote di mercato: era mantenuto artificialmente a 100 dal regime di tassi a zero che la Bce deciderà il 26 ottobre se prorogare o meno. Gli stessi tassi che la Fed, mercoledì sera, ha detto che alzerà ancora a dicembre, contestualmente allo scarico mensile di 10 miliardi di assets per far dimagrire lo stato patrimoniale. 

Balle. Quel bond – ontologicamente pericoloso, visto il suo rating CCC – era a 30, forse 20, da settimane, ma nessun operatore, consulente d’investimento o tantomeno giornale ve lo ha detto, come non vi ha detto che quanto sta accadendo a Toys’r’Us rappresenta la seconda bancarotta più grande della storia Usa dopo quella di Kmart nel 2002. Parliamo infatti di un’azienda con 1600 negozi, 6,9 miliardi di dollari in assets e 64mila dipendenti. Puff, tutto fallito in 9 giorni. Nel silenzio generale. È questo il mondo in cui noi ci ritroviamo, un mondo che per vivere su queste dinamiche e permettere alle Banche centrali di sparare dati di crescita da sorrisi e pacche sulle spalle, deve permettere cose simili: dove andranno i dipendenti di Toys’r’Us? Ovunque gli si garantisca un salario, qualunque salario e a qualsiasi condizione contrattuale. Occorre portare il pane in tavola o maturare quanto manca per andare in pensione, occorre pagare l’affitto e le bollette: occorre vivere. Anzi, sopravvivere. 

Vi prego di riflettere su queste cose. Perché la falsità, ormai, è la regola. E, in subordine, arrivano l’oblio e la rimozione del reale. Ieri Piazza Affari festeggiava: ma voi, cosa avete da festeggiare in un mondo simile? Sempre ieri, la Banca centrale giapponese ha mantenuto invariati gli stimoli monetari e la Borsa di Tokyo ha chiuso tranquilla a +0,2%. Volete sapere la verità sul Giappone, se non vi fosse bastata la clamorosa sconfessione di quanto fatto finora sostanziatasi nella decisione di spostare il target per il raggiungimento del 2% di inflazione da marzo 2018 a marzo 2019? Guardate questo grafico, ci mostra come la propensione al risparmio dei giapponesi sia in continua crescita da 42 trimestri di fila: si accumula e non si spende. 

E come fai a far salire l’inflazione e i prezzi con questa mentalità? Non puoi, per il semplice fatto che i nipponici sono allenati e hanno riconosciuto il mondo in cui stanno per ripiombare: deflazione. Il tutto, con la loro Banca centrale che sta spendendo un delirio di denaro per sostenere unicamente una cosa: l’indice Nikkei. Stiamo andando a grandi falcate verso il disastro. Siatene almeno consapevoli.