Negli ultimi anni l’economia mondiale è stata caratterizzata da un brusco cambiamento di fondo: si è infatti ridotto in modo sostanziale l’apporto del commercio internazionale alla crescita economica complessiva. Fino al 2015, il tasso di sviluppo degli scambi di beni e servizi è stato costantemente superiore a quello del Pil mondiale, costituendo di fatto uno degli elementi più importanti di traino delle singole economie, soprattutto di quelle, come la Cina, orientate alle esportazioni. In maniera apparentemente contraddittoria proprio negli ultimi mesi si è invece presentata una doppia dinamica: una crescita più limitata che in passato degli scambi di beni e servizi e una dinamica invece in accelerazione per l’economia nel suo complesso.
Non siamo di fronte alla sfortunata congiunzione di fattori casuali, ma a significativi cambiamenti che appaiono di natura più strutturale che congiunturale. Ci sono cinque elementi di cui tener conto per giudicare l’attuale momento economico.
1) Si presentano gli effetti delle misure protezionistiche attuate, pur senza troppo clamore, negli anni immediatamente successivi alla crisi del 2008/2009, misure varate in particolare dagli Stati Uniti, ben prima dell’era Trump;
2) Si manifestano gli effetti della sostanziale conclusione delle politiche di delocalizzazione industriale, politiche che hanno avuto un loro punto più elevato a cavallo del nuovo secolo e che ora appaiono sempre meno convenienti per la crescita dei costi nelle economie emergenti;
3) Allo stesso modo si esauriscono gli effetti dell’alta domanda dei beni di largo consumo delle società occidentali, società caratterizzate da una stagnazione demografica che deprime i consumi;
4) Sono sempre più evidenti i cambiamenti strategici sul fronte della politica economica da parte della Cina che ha fortemente rilanciato la propria domanda interna anche per rispondere al massiccio spostamento dalle campagne alle città.
5) Continua a scendere la quota di prodotti ad alta intensità di scambi rispetto alle attività legate ai servizi, dalla finanza alle comunicazioni.
In questo nuovo scenario appaiono due movimenti di fondo: da una parte, la rimessa in discussione dei grandi accordi sul commercio mondiale, come dimostra la sostanziale archiviazione dell’ipotesi di trattato transatlantico, dall’altra, la crescita delle nuove intese regionali o degli accordi bilaterali che possono apparire più facilmente favorevoli a entrambe le parti contraenti.
Resta il fatto che il commercio internazionale rimane un pilastro fondamentale per la crescita economica perché non è in discussione quella teoria del vantaggio comparato che i grandi economisti hanno elaborato in parallelo con le rivoluzioni industriali. Ma, proprio per i grandi cambiamenti in corso, lo sviluppo degli scambi commerciali ha costantemente bisogno di aggiornare il quadro di riferimento non solo economico, ma anche normativo e giuridico.
Uno sguardo sull’evoluzione del commercio mondiale e un’analisi attenta di regole e procedure la si può così trovare nel libro di Sara Armella “Diritto doganale dell’Unione europea” (Ed. Egea, pagg. 430, euro 60), frutto di un profonda esperienza professionale nel campo delle regole commerciali, amministrative e fiscali. Una panoramica destinata innanzitutto ai molti addetti ai lavori in una struttura produttiva italiana fondata insieme sull’internazionalizzazione e sulle piccole e medie imprese.
La nuova globalizzazione continua infatti a presentare rilevanti opportunità: conoscere il quadro di riferimento è già fare un passo avanti per poterle sfruttare al meglio.