La campagna anti-russa sta ripartendo in grande stile. Ma perché? Solo per cercare di disarcionare Trump dalla Casa Bianca? Un tentativo, iniziato con largo anticipo di destabilizzare un po’ il clima in vista del voto in Russia del 2018? Certamente non possiamo parlare di nuove prove, visto che la pista Facebook è addirittura farsesca. Forse, siamo all’ennesimo proxy e la ragione per questa campagna, cui Trump non ha dedicato nemmeno un fiato, sta tutto nel fatto che l’America è formalmente guidata dall’ex tycoon, il quale ha ingaggiato una guerra verbale con Kim Jong-un quasi da film di Bud Spencer, ma al comando davvero ci sono tre generali, di fatto una giunta militare che controlla il Pentagono, lo staff della Casa Bianca e la Sicurezza nazionale. Tre uomini che fanno 119 anni in divisa in tre, di fatto gente che vede il mondo da una sola prospettiva: quella bellica. Il che giustificherebbe a pieno quel «siamo in guerra» così drammatico pronunciato da Morgan Freeman.



E Trump, nel suo show all’Onu, non si è limitato a recitare il suo copione contro la Corea del Nord, ma ha anche messo sul piatto la pietanza che conta davvero, quella che il capo del Pentagono, generale Mattis, vive come un’ossessione: l’Iran. Ossessione che viene condivisa all’interno del Congresso dal capo dei neo-con, il senatore McCain, attivissimo nonostante la malattia e all’estero da due alleati chiave degli Usa, Arabia Saudita e Israele, preoccupatissimi dall’ampliamento dell’influenza iraniana (e quindi sciita) in Siria e in tutta l’area, soprattutto attraverso le milizie di Hezbollah. Trump ha duramente contestato l’accordo sul nucleare iraniano voluto e raggiunto dal duo Obama-Clinton, di fatto facendo capire che a suo modo di vedere Teheran l’avrebbe già violato più volte e che, quindi, sarebbe ora di interromperlo. «Ho preso una mia decisione al riguardo, ma non ve la dirò», ha dichiarato tre giorni fa Trump alla stampa, dimostrando il suo grado di irresponsaibilità e cialtronaggine politica, salvo poi svelare l’arcano: «Lascerò che sia il Congresso a decidere». Come dire, i falchi alla McCain che non attendono altro e che, di fatto, hanno già in mano un patto bipartisan con i Democratici in tal senso.



Insomma, l’obiettivo del comparto bellico-industriale Usa è l’Iran e il primo passo è far saltare l’accordo sul nucleare. Peccato che, dall’Ue fino all’Australia, gli Usa siano, per ora, soli in questo proposito: tutti difendono quel patto e lo riconoscono come un buon esempio di diplomazia applicata. L’Iran, poi, non ha perso tempo nel reagire, prima con la sua guida suprema, Hassan Rohani, dagli scranni dell’Onu, dove ha parlato di «ignoranza politica e volgarità degli Usa» e poi ieri mattina, con una dichiarazione che non lasciava nulla alle interpretazioni. Il presidente iraniano ha infatti affermato di voler aumentare la capacità militare e rinforzare la dotazione di armi del Paese, compreso il programma missilistico: «Non abbiamo bisogno del permesso di nessuno per difendere la nostra patria», ha dichiarato Rohani nel corso di una parata militare a Teheran, capitale dell’Iran, in occasione dell’anniversario della guerra iraniano-irachena combattuta tra il 1980 e il 1988. Rohani ha anche sottolineato di voler aumentare la capacità militare, terrestre, aerea e marittima, dell’Iran «per dissuadere i nemici».



Il tutto con la Casa Bianca che ha tempo fino al prossimo 15 ottobre per certificare il rispetto dell’accordo da parte di Teheran: nel caso in cui la firma non dovesse arrivare, il Congresso dovrebbe appunto esprimersi subito su eventuali nuove sanzioni verso Teheran. Insomma, colpire la Russia significa aprire un fronte che comprende il grande disegno dell’alleanza Mosca-Teheran-Damasco in Medio Oriente, con Washington-Ryad e Tel Aviv pronte a tutto pur di bloccare l’espansionismo sciita. Il problema è che la Turchia è partner sempre meno affidabile, sia a livello di comunità sunnita, perché le mosse siriano-russe sul campo stanno per garantirle la possibilità di chiudere i conti una volta per tutte con i curdi, sia a livello Nato, visto che proprio dalla Russia l’alleato atlantico con sede ad Ankara ha appena comprato sistemi anti-missile S-400: un’incoerenza abbastanza macroscopica. Occorre quindi usare da un lato la Siria come campo di battaglia proxy – venerdì scorso gli israeliani hanno bombardato un aeroporto subito fuori Damasco, mentre per tutta risposta i russi hanno colpito postazioni di Daesh dal mare con missili Kalibr – e la propaganda interna Usa come motivatore ideologico dello scontro che verrà.

Per una volta, l’Ue si è schierata. Forte, forse, di alcuni dati. Le esportazioni dell’Iran verso l’Unione europea sono aumentate di oltre il 300% dopo l’attuazione dell’accordo sul nucleare del 2015. I dati sono stati riferiti ufficialmente dal Commissario europeo per l’Energia, Miguel Arias Canete, in apertura del primo Business Forum Iran-Ue sull’energia sostenibile a Teheran. Canete ha aggiunto che anche l’interscambio commerciale tra l’Iran e l’Unione europea ha mostrato un aumento del 79% dopo l’attuazione dell’accordo sul nucleare: stando ai dati pubblicati da Eurostat, nel 2016 le esportazioni iraniane verso l’Ue sono state di 5.494 miliardi di euro rispetto ai 1.235 miliardi di euro del 2015. Si tratta di cifre sulle quali ha avuto un peso notevole anche la ripresa dell’esportazione di petrolio dall’Iran in Europa, qualcosa che non piace affatto all’Opec. Ovvero all’Arabia Saudita.

Prepariamoci, se ci non si sarà un rapido cambio di valutazione europeo, a uno strano ritorno del “terrorismo” da parte di lupi solitari e paranoici di vario genere legati all’Isis, statene certi. Il grande gioco è questo, la Corea è un Circo Barnum buono solo per far aumentare le spese militari e drogare il Pil.

(2- fine)