Con l’ultima riunione del consiglio direttivo della Bce, si è deciso di non decidere. In altre parole, ogni decisione sulla fine del Qe, l’unica decisione rilevante di questi tempi, è stata rimandata a un prossimo appuntamento e a ulteriori analisi. Il timore, più che giustificato, è che facendo mancare il robusto acquisto di titoli di stato la speculazione si avventi su questi in cerca di rendimenti profittevoli e sicuri. Il problema è che la faccenda ha, come tutte le medaglie, una seconda faccia. 



L’aver sottratto lo scambio dei titoli di stato al mercato ha ovviamente depresso i profitti degli operatori di quel mercato, cioè le banche, le quali non si trovano certo in un periodo di forma splendida. E l’altro grosso problema è che bisogna tener conto degli effetti di questo flusso di liquidità sull’economia reale. Tali effetti sono molto differenti, com’è facile intuire, a seconda del tipo di economia, da territorio a territorio. E gli effetti si stanno vedendo in Europa, dove in Germania l’inflazione inizia a farsi sentire, mentre in tanti altri paesi europei più periferici (e pure in Italia) di inflazione non c’è traccia o quasi.



Quindi la Germania, e soprattutto la Bundesbank, ha iniziato a fare pressioni per la fine del Qe, per evitare che il grosso surplus accumulato in tanti anni sia intaccato dall’inflazione. Ma la fine del Qe potrebbe mettere in grandi difficoltà paesi con l’economia fragile e con debito alto. Insomma, la Bce si è cacciata in un vicolo cieco e non si vede una via d’uscita che non provochi grossi problemi a qualcuno.

Nel frattempo stiamo assistendo alla fiera delle proposte più strampalate. Come quella recente di Jean-Claude Junker, sempre più convinto che la ripresa sia ormai cosa fatta e che occorra più integrazione, cioè sempre maggiore centralizzazione realizzata sottraendo sovranità ai singoli stati membri. Ma non basta, propone addirittura che tutta l’Unione europea adotti l’euro come moneta (oggi vi sono dieci nazioni che non l’hanno adottato e il loro Pil è superiore alla media del Pil europeo). Un’ipotesi che l’ex banchiere francese Naulot ha definito “un’idea completamente scollegata dalla realtà politica ed economica”.



Oppure capita di sentire Antonio Patuelli, presidente dell’associazione Bancaria Italiana (Abi), pronunciarsi favorevolmente alla creazione di una criptovaluta di stato europea (ma quale stato? Boh!) e pensare di poter obbligare tutte le altre criptovalute a sottostare a una normativa anti-riciclaggio.

Ma cosa sono le criptovalute? Per i lettori che non conoscessero la materia: le criptovalute sono una simulazione di moneta elettronica, creata in maniera arbitraria da un software distribuito gratuitamente. Tramite tali software è possibile trasferire questa particolare forma di moneta (la più famosa è il Bitcoin) in modo efficiente e sostanzialmente sicuro. L’aspetto più appariscente di queste criptovalute è che non c’è una banca e non ci sono regole (a parte quelle scritte nel software, che contribuiscono a rendere il sistema sicuro). Ma questo aspetto, che sembra risolvere alcuni problemi (ed entusiasma alcuni fanatici oppositori del sistema bancario), in realtà ne presenta di altri. Infatti, se io compro online e ricevo un prodotto non conforme, grazie alle regole oggi vigenti posso restituire il prodotto e riavere indietro i soldi. Ma nel caso delle criptovalute questo non può accadere, soprattutto perché il possessore di un portafoglio di criptovaluta è ignoto.

Inoltre, il mio portafoglio di criptovalute è contenuto nel mio programma, nel mio computer: se questo si rompe o mi viene rubato, io avrò perso tutto e non c’è alcuna autorità che mi possa restituire qualcosa. Al contrario, se mi rubano il portafogli con il bancomat o la carta di credito, io posso rivolgermi alla mia filiale per bloccare le carte rubate e farmene dare di nuove.

Insomma, non è tutto oro quel che luccica. Però è anche vero che la tecnologia introdotta da queste ciptovalute è straordinariamente interessante e pone tantissime sfide a chi oggi gestisce la moneta ufficiale; infatti è innegabile che l’euro è un fallimento e che pure il dollaro non se la passi bene. E non è un caso che la criptovaluta più famosa, il Bitcoin, negli ultimi anni e soprattutto in questi ultimi mesi sia letteralmente esplosa come valore e sia arrivata a valere quasi 5.000 dollari. E non è un caso anche il fatto che, sulla scia del successo del Bitcoin, ne siano nate tante altre, quasi 900 in questi giorni (ma il dato è in continua crescita). Monete virtuali che oggi valgono pochi millesimi di dollari o pochi dollari, ma un domani, se la crisi monetaria riesplode, chissà!

Tutto questo ripropone con forza il solito dilemma: cos’è la moneta? Chiaramente la moneta è una convenzione, accettata da una popolazione in un territorio ben definito. Ma non basta, la moneta è molto di più di questo e i banchieri centrali (e chi ha costruito l’architettura monetaria dell’euro) non ne hanno tenuto conto e oggi ne vediamo tutti i danni.