Avanti così. Il convoglio dell’economia globale accelera. Non solo in Europa, confortata dalla cura degli acquisti della Bce ma anche dalla prospettiva che, Italia a parte, la minaccia populista si fa meno pressante e, passate le elezioni tedesche, ripartirà il processo di creazione di uno stato federale magari con il conforto di una governance e di risorse condivise. Venti di ripresa soffiano dall’Asia, nonostante la minaccia dei missili di Pyongyang: l’industria cinese accelera, così come l’export. E gli acquisti delle fabbriche di Pechino alimentano le casse dei produttori di materie prime così come la ripresa delle Borse emergenti. Non a caso, ai vertici dei listini mondiali, a fine agosto, primeggiano Shanghai e Hong Kong oltre a San Paulo del Brasile.
La vera sorpresa, in un certo senso, arriva dagli Stati Uniti. Nonostante il conflitto sempre più aspro tra Donald Trump e una parte non indifferente dell’establishment, che ha reso finora impossibili le riforme già promesse dal presidente, l’economia reale va. Alla faccia dei muri promessi da Trump (il Messico per ora va a gonfie vele) o delle ventilate sanzioni americane contro Pechino (per ora servite solo a garantire al dittatore Kim il sostegno sottobanco del Drago) la realtà è ben diversa da quella promessa dal nuovo inquilino della Casa Bianca. A partire dalla svalutazione del dollaro, che nei fatti rappresenta un buon compromesso per evitare una guerra commerciale. Oggi il mondo risulta più equilibrato. Con un cambio più forte, gli esportatori patologici (Germania e Cina) hanno un incentivo a rafforzare la domanda interna (e per la Germania la domanda interna è quella europea). C’è convergenza, virtuosa, anche sul piano della crescita. Tra il 3 per cento americano del secondo trimestre e il 2,8 europeo (entrambi in accelerazione) la distanza è ormai ridotta. Anche l’uragano che ha colpito Houston promette di cancellare altri eccessi ideologici (vedi il blocco del deficit federale Usa) e di attivare la crescita del manufacturing senza innescare guerre commerciali.
E’ in questa cornice che si inquadra la ripresa italiana, forse troppo timida (secondo i più critici), ma finalmente con buone possibilità di rafforzarsi, se sapremo trattenere le solite pulsioni autolesioniste. L’attività manifatturiera è cresciuta ad agosto al ritmo più rapido degli ultimi sei anni e mezzo rendendo più rosee nel breve termine le prospettive per l’economia. L’indice Pmi è salito al massimo dal febbraio 2011. Nel secondo trimestre del 2017 secondo l’Istat il Pil, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, è aumentato dello 0,4% rispetto al trimestre precedente e dell’1,5% nei confronti del secondo trimestre del 2016. L’Italia cresce ininterrottamente da dieci trimestri consecutivi. Il contributo alla crescita reale dello 0,4% del trimestre proviene per lo 0,2% dai consumi delle famiglie, per lo 0,1% dagli investimenti e per altrettanto dalla voce residuale “scorte”. Gli investimenti migliorano nel trimestre, dopo il contributo negativo al Pil del primo trimestre.
Dati confortanti, ma non abbastanza da poter annunciare l’avvio di un ciclo virtuoso. In termini nominali, il Pil cresce dell’1,7% annuale, ancora troppo poco se comparato col costo medio del nostro debito, cosa che ci costringe ad inseguire avanzi primari per tentare di piegare il rapporto debito-Pil. Agli investimenti continua a mancare – e mancherà ancora a lungo – l’apporto delle costruzioni. Sempre in termini reali, la spesa pubblica si contrae nel trimestre dello 0,1% e cresce nell’anno dello 0,9%, quindi meno del Pil reale, a differenza di quanto accade ad altri partner della Ue. L’Italia, infatti, non è certo la sola economia in accelerazione. In Germania il settore manifatturiero ha registrato una crescita significativa, sostenuta da produzione, nuovi ordini ed esportazioni. L’indice Pmi relativo alla manifattura il mese scorso si è attestato a 59,3, terza migliore performance dall’aprile 2011, in crescita rispetto a 58,1 di luglio. In Francia il manufacturing ha registrato un massimo da sei anni in agosto con un ulteriore incremento degli ordini dall’estero nonostante la forza dell’euro. L’indice finale Pmi è salito a 55,8, il livello più alto da aprile 2011. Meglio del previsto anche il Pmi del Regno Unito. La crescita nominale della Spagna è pari al 3,4% il doppio di quella italiana.
In sintesi, andiamo bene ma non benissimo.
Stiamo vivendo una stagione di riscatto, ma la crescita nominale resta relativamente debole, e tale da non dare sollievo sostanziale al rapporto d’indebitamento che frena gli investimenti. Però gli operatori guardano con grande interesse alle prove di turnaround. Il mercato azionario, in particolare, ci crede: nel 2017 Piazza Affari è la miglior Borsa europea con una crescita del 12,7%, davanti ai listini Usa, nonostante la svalutazione del dollaro rispetto all’euro.