La fiducia è una cosa seria e si dà alle cose serie, recita una vecchia e fortunata campagna della Galbani (i meno giovani la ricorderanno certamente). Dunque, se l’Istat certifica che la fiducia di imprese e famiglie cresce in Italia ci troviamo di fronte a una cosa seria o, almeno, da prendere seriamente. L’indice che misura il livello dell’ottimismo nel mondo degli affari è addirittura il più alto degli ultimi dieci anni e riguarda manifattura, commercio e, addirittura, edilizia. E i consumatori, secondo le ultime rilevazioni, si stanno convincendo che il Paese sta decisamente meglio e che il peggio è pertanto alle spalle.
Buono, verrebbe da dire all’impronta. Oltre a essere una cosa seria, la fiducia è il più potente lubrificante che esista. Quando è presente filano lisci i rapporti economici e anche quelli sociali. Ci si fida l’un dell’altro. Non c’è bisogno di approfondire, verificare, controllare. Basta la parola. E il mondo gira più veloce. Uno dei principali problemi di quest’epoca, si è sempre detto, è proprio la mancanza di fiducia che condiziona le relazioni tra persone, corpi dello Stato, istituzioni. Gli economisti direbbero che siamo afflitti da una consistente dose di slealtà post-contrattuale: diciamo una cosa e già pensiamo di fare il contrario.
Se la fiducia nel Paese sale è pertanto un’ottima notizia. Che va accolta con soddisfazione, sì, ma ancor più con la consapevolezza che non c’è peggior crimine che tradirla distruggendo un bene che si conquista con tempo e fatica. La fiducia impone un impegno a coltivarla e rispettarla. Ora, le imprese prendono coraggio dall’aumento degli ordini e le famiglie cominciano a percepire un clima diverso che nel recente passato dove la crisi e i suoi simboli hanno preso il sopravvento condizionando il racconto che abbiamo fatto di noi stessi: sempre più poveri e sull’orlo del fallimento.
La tradizionale attitudine a vedere il bicchiere mezzo vuoto ha lasciato il campo alla disponibilità a vederlo mezzo pieno. Che cosa avrà generato questo decisivo capovolgimento di sensazione? Come mai da qualche trimestre a questa parte la società italiana mostra di scommettere sul suo futuro? Ci sono i dati incoraggianti sull’andamento del Pil, certo, che mostrano come l’Italia stia crescendo più di quanto previsto. Ma i partner europei e i competitor internazionali crescono più in fretta di noi e nel Paese non si apprezzano ancora le ricadute sull’economia reale, soprattutto nel campo del lavoro.
Certo, qualche risultato comincia ad apprezzarsi grazie al Jobs Act e alle altre riforme economiche messe in campo dal governo la cui convinzione a difenderle, però, va scemando mano a mano che si avvicina l’appuntamento elettorale e politiche acchiappavoti si affacciano pericolose.
Ma la fiducia così straordinariamente sbocciata in un domani migliore è troppo preziosa perché si possa immaginare di mandarla perduta. Bisogna a tutti i costi che il ceto dirigente di questo Paese si mostri degno dell’apertura di credito che la società gli accorda. Per questo vale la pena di concentrare le risorse su obiettivi che, se raggiunti (e possono esserlo solo se su di essi si esercita il massimo degli sforzi), sono in grado di fare la differenza e mostrare che la fiducia è ben riposta. Quale target migliore dei giovani in cerca della prima occupazione?