Immagino che ricorderete tutti i titoloni di prima pagina che lo scorso 30 marzo accompagnarono la sentenza del Tribunale di Trani nel processo contro le società di rating responsabili, a detta dell’accusa, di un declassamento immotivato del debito italiano, nella fattispecie quello operato nel 2012 da Standard&Poor’s. Ci furono risate e grandi sberleffi di sarcasmo verso l’ennesimo pm che avrebbe cercato gloria mediatica, imbastendo un processo molto simile alla lotta di Don Chisciotte contro i mulini a vento, di fatto non solo ridicolizzando quell’inchiesta, ma ponendo il sigillo di sacralità su quanto decretato dalle società di valutazione. Ivi compreso, l’accaduto durante il famoso “golpe dello spread” dell’estate-autunno 2011. 



Bene, in ossequio alla tradizione tutta italiana dello sbattere il mostro in prima pagina, salvo relegare l’eventuale assoluzione in una breve a pagina 40, ecco che l’altro giorno qualcosa ha incrinato la narrativa ufficiale riguardo l’accaduto. E per questo, ovviamente, non ha trovato il benché minimo spazio sulla stampa autorevole, la stessa che trasformò l’assoluzione di marzo nella sentenza del secolo, con toni millenaristici da Watergate. Giovedì sono state rese note le motivazioni di quella sentenza e – udite udite – tutto questo profumo di bucato attorno all’operato di Standard&Poor’s non si sentiva, nemmeno da parte degli stessi giudici di Trani che l’hanno assolta. 



Leggiamo: «Il processo per il declassamento di due notch del rating sovrano dell’Italia del 2012 a carico di S&P ha evidenziato i profili di incompetenza degli analisti e di quelli del debito sovrano in particolare: gli stessi profili di criticità evidenziati da Pierdicchi (all’epoca dei fatti AD di S&P Italia, ndr) al presidente mondiale di S&P, Deven Sharma, in un’intercettazione telefonica. Sharma è dunque consapevole della inadeguatezza degli analisti del debito sovrano». Lo scrive il Tribunale di Trani, assolvendo gli imputati E ancora: il processo per manipolazione del mercato nei confronti di analisti e manager di S&P sul declassamento di due gradini dell’Italia (da A a BBB+) del 2012 «ha fatto emergere gli intrecci tra azionisti, manager, analisti, dirigenti del Tesoro, banche di affari e agenzie di rating, ma non ha consentito di delinearne in maniera definitiva i confini proprio per la “reticenza” manifestata da alcuni testi». 



Ma non basta: «I testimoni avrebbero dovuto avere, invece, il dovere – si legge nelle 315 pagine della sentenza – di fornire una più ampia e sincera collaborazione, frenata o da interessi personali o da interessi di natura politica in un chiaro tentativo di frammentare le singole condotte, ostacolando l’accertamento dell’elemento soggettivo del reato e, ancor prima, ostacolando la riconduzione a un disegno unitario di tutte le condotte, anche di quelle antecedenti all’azione del rating del 13 gennaio 2012, in un’ottica di sicuro pregiudizio per l’Italia, descritto dalla dirigente del debito pubblico Maria Cannata… In un contesto di velata, ma sostanziale, reticenza – annota il Tribunale – dettata da interessi di natura personale commisti a compiacenza nei confronti di S&P’s – di cui hanno tratto vantaggi per la loro carriera – si collocano le testimonianze della general manager Maria Pierdicchi (all’epoca dei fatti AD per l’Italia dell’agenzia di rating, ndr) e dell’analista bancario, Renato Panichi». 

Vi rendete conto di ciò che avete appena letto, vergato di loro pugno dai giudici di Trani? Sapete cosa significa, scrostando via il linguaggio forense? Che in appello quelle parole potrebbero pesare come pietre. E che tutti i titoli di giornale e i servizi ironici dei tg di fine marzo potrebbero rivelarsi per ciò che erano: i festeggiamenti di un sistema che fino a poche ore prima, intimamente e senza darlo a vedere all’esterno, aveva sudato freddo. Freddissimo. Come faceva notare Alberto Micalizzi sul suo blog l’altro giorno, appena pubblicate le motivazioni della sentenza, «uno dei primi elementi chiave che emergono dal documento riguarda Panichi, l’analista di S&P che tentò di fermare la pubblicazione del rating del Gennaio 2012, ritenendo errate le analisi dei colleghi, evidenza provata da diverse email che la Procura di Trani ha intercettato. In una delle email citate, quella del 12 Gennaio 2012, il Tribunale afferma che “Panichi scrive all’analista del debito sovrano dell’Italia, Eileen Zhang (e per conoscenza David Harrison, Director Financial Services Rating – Londra). Con questa email Panichi sollecita il destinatario a “condividere…eventuali riferimenti alle banche contenute nel rating sull’Italia…., onde evitare possibili errori o un disallineamento rispetto all’opinione di Financial Institutions”».

Insomma, la preoccupazione di Panichi è che i colleghi del rating Italia esprimano giudizi sul Paese che contrastino con quanto era stato detto in precedenza su analisi di settore bancario, condotte nel 2011, nelle quali S&P’s aveva espresso un parere positivo sul settore bancario italiano. E ancora: «Continua il Tribunale: “Il riferimento a possibili errori nel rating evidenzia i profili di incompetenza degli analisti e di quelli del debito sovrano in particolare, gli stessi profili di criticità evidenziati dalla Pierdicchi al presidente mondiale di S&P, Deven Sharma, nel corso della conversazione di cui del 3 Agosto 2011, il quale dunque è consapevole della inadeguatezza degli analisti del debito sovrano”. Pierdicchi è l’ex amministratore delegato di S&P Italia che svela retroscena imbarazzanti in una telefonata dell’Agosto 2011, intercettata dalla Procura di Trani». 

Ed ecco le conclusioni, quelle troppo scomode da pubblicare e rendere note all’opinione pubblica: «Dunque, il Tribunale di Trani accoglie in pieno le due evidenze chiave prodotte dal PM, Michele Ruggiero, in relazione alle criticità interne di S&P’s: la conversazione del 3 Agosto 2011 tra Pierdicchi e Sharma, dove la prima dice testualmente al proprio capo che S&P non dispone delle competenze per emettere un rating sull’Italia, e lo scambio di email tra Panichi ed i colleghi che coprono l’Italia del 12 Gennaio 2012, dove lo stesso Panichi tenta di impedire l’emissione del rating, una volta compreso il giudizio sbagliato dato dai colleghi sulla situazione del debito italiano, sia del Tesoro che delle banche. Tutto ciò porta il Tribunale ad una prima importante concessione, e cioè che “Rimane confermata, pertanto, la violazione sia delle policy aziendali di S&P che del Regolamento europeo n. 1060 del 2009 sul conflitto di interessi”». Ma guarda un po’. Non vi pare una notizia degna di nota, questa? 

Certo, l’assoluzione copre tutto, ma le motivazioni che hanno portato a quel verdetto lasciano aperto un portone, non una finestra, relativamente a profili di non professionalità tenuti dall’agenzia di rating nel gestire quel passaggio delicatissimo relativo alla profilazione della nostra credibilità creditizia. Oltretutto, in pieno fall-out della crisi e nel momento di maggiore drammaticità per la tenuta dei nostri conti pubblici, visto che eravamo in pieno nel tentativo di salvataggio dal precipizio greco messo in atto, a suo modo di dire, da Mario Monti e dal suo esecutivo tecnico, entrato in azione nel novembre 2011 per l’ondata di crisi dello spread e la conseguenza perdita dei numeri in Parlamento da parte del governo Berlusconi. 

Io non voglio scomodare ancora la parola golpe, ma non vi pare che sia di una gravità inaudita quanto accaduto? Non vi pare da pelle d’oca che una società privata con forti interessi particolari possa decidere con criteri così assolutamente contraddittori del destino di un Paese, visto che in quei momenti un rating di un certo tipo sanciva la differenza fra sopravvivere e soccombere sui mercati? Serviva forse una drammatizzazione della situazione per garantire a Mario Draghi di superare le resistenze della Bundesbank e lanciare la famosa politica del whatever it takes, come sembrerebbe suggerire una lettura politica dell’assoluzione del personale di S&P’s da parte del Tribunale di Trani? Benissimo, la causa di forza maggiore va sempre riconosciuta, però occorre anche dire che Michele Ruggiero non è un pm in cerca di fama mediatica o un Don Chisciotte visionario e irresponsabile nello spendere i soldi pubblici per inchieste fantasiose. Altrimenti, oltre al danno si unisce la beffa. 

Abbiamo già una Commissione d’inchiesta sul settore bancario a tenere alto il nome del ridicolo in questo Paese, quando si tratta di (non) svelare intrecci tra banche, potere politico e interessi privati, quantomeno sul processo di Trani diciamo la verità dei giudici agli italiani. Non chiudiamo tutto con quei titoli sbeffeggianti del 30 marzo scorso, perché molto di ciò che è stato della storia recentissima di questo Paese, è dipeso anche da quelle valutazioni quantomeno contraddittorie e mal delineate. Non mi pare affatto cosa da poco. Proprio per niente.