Giovedì 7 settembre gli occhi dei mercati saranno puntati sulla Banca centrale europea e sul suo governatore Mario Draghi. Le dichiarazioni del governatore e le decisioni sulla politica monetaria sono sempre importanti ma la riunione di domani è attesa con particolare trepidazione. Ci sono infatti alcune novità che fino a qualche mese fa non venivano nemmeno prese in considerazione e che sono entrate nell’orizzonte della banca centrale scombinando i suoi piani.
La novità più evidente è il processo di rafforzamento dell’euro contro il dollaro passato in poco più di sei mesi da 1,05 a quasi 1,2 con un danno per le esportazioni europee di circa il 15%; un problema non banale per un’area monetaria che ha puntato tutto sulle esportazioni ammazzando almeno un terzo del suo mercato interno con l’austerity che oltre tutto ha bloccato gli investimenti anche in Germania.
La seconda novità è un contesto geo-politico volatile. La politica americana è in subbuglio dopo l’elezione di Trump e si assiste a uno scontro tra l’establishment e un presidente che sembra un alieno e che è stato costretto a un confronto con la Russia con toni da guerra fredda. I programmi di rilancio infrastrutturale o di stimolo fiscale sono bloccati e si avvicina il momento in cui dovrà essere approvato un nuovo aumento del tetto del debito pubblico americano. Poi ci sono le tensioni in Asia con la minaccia nucleare della Nord Corea e i dubbi sul ruolo di Russia e Cina. Infine c’è il vecchio problema dell’assenza di inflazione, sensibilmente sotto il 2%, in Europa; una conseguenza in realtà degli effetti depressivi dell’austerity e dell’assenza di qualsiasi visione strategica sulla crescita.
Il quadro è quello di una debolezza estrema delle istituzioni europee. Per quanto la politica americana appaia confusa, in Europa le istituzioni sostanzialmente non esistono; esiste un asse franco-tedesco che lavora per sé stesso e che usa le istituzioni europee incluso l’euro per i propri interessi. A questo proposito vale sempre la pena ricordare che a un intervento di Draghi, un governatore di una banca centrale, viene attribuito il salvataggio dell’euro in una fase in cui parlare della sua rottura era normalissimo; anche oggi per molti la rottura dell’euro è solo una questione di “quando”. Non può esistere una valuta comune, se non con beneficio di alcuni e danno di altri, se non è supportata da istituzioni comuni e alla fine la spina viene tolta quando chi tira i fili e trae i vantaggi vede più rischi che opportunità.
Le pressioni per un rialzo dei tassi vengono dalla Germania sia perché tra qualche settimana si andrà a elezioni e i Paesi del sud non vanno di moda tra gli elettori tedeschi, sia perché il sistema finanziario chiede tassi più alti. Nonostante questo le previsioni delle banche d’affari concordano su una Bce molto prudente che non lancerà alcun restringimento delle politiche monetarie e nemmeno lo annuncerà. La giustificazione verrebbe da un’inflazione ancora troppo bassa, ma le ragioni vere sarebbero altre; il timore di un ulteriore rafforzamento dell’euro in una fase in cui si prospettano guerre commerciali, le tensioni geopolitiche che consigliano estrema cautela e infine la volontà di risparmiare a mercati finanziari ancora fragili sono nuovi elementi di preoccupazione in una fase delicata. La Bce giocherà in difesa; l’unico modulo che conosce fino a che sarà espressione di una Unione senza un progetto comune.