Tutti gli occhi su Mario Draghi. Domani, infatti, la conferenza stampa al termine del board della Bce difficilmente potrà vedere il governatore dell’Eurotower mantenere i toni vaghi utilizzati a Jackson Hole il 25 agosto, soprattutto alla luce della “velina” fatta uscire sul finire di settimana scorsa, che vedrebbe sempre più membri del consiglio direttivo spaventati dalla prospettiva dell’euro forte e, quindi, più cauti sulla misura di ritiro della manovra di stimolo, il Qe. Mario Draghi tirerà fuori l’ennesimo coniglio dal cilindro? Manca poco e lo scopriremo, sinceramente non me la sento di azzardare nulla: siamo davvero lungo territori inesplorati.
E pericolosi. Particolare attenzione a quanto accadrà fra poco più di 24 ore a Francoforte ci sarà in Italia, poiché i buoni dati dell’export che hanno finora sostenuto la crescita dipendono pressoché in toto dalle favorevoli condizioni monetarie e di finanziamento non bancario garantite dal programma della Bce. E ieri, è giunta una nuova conferma rispetto a questa dinamica in atto. “L’economia italiana accelera sostenuta da una crescita diffusa tra i settori produttivi e dall’aumento dell’occupazione”, scriveva infatti l’Istat nella sua Nota mensile sull’andamento dell’economia italiana: “L’indicatore anticipatore mantiene un’intonazione positiva segnando un rafforzamento delle prospettive di crescita”, aggiungeva. E ancora: “In un quadro internazionale caratterizzato dalla crescita dell’economia statunitense e dell’area euro, l’economia italiana accelera, sostenuta da una crescita diffusa tra i settori produttivi e dall’aumento dell’occupazione”. La ripresa degli investimenti è stata determinata dal recupero della spesa per macchine, attrezzature e altri prodotti (+0,6%) e, in misura maggiore, di quella per mezzi di trasporto (+8,2%); gli investimenti in costruzioni hanno segnato una diminuzione (-0,4%). E ancora, il valore aggiunto dell’industria in senso stretto è aumentato nel secondo trimestre (+0,9% rispetto al trimestre precedente), registrando una ripresa rispetto al primo trimestre (-0,5%). Il valore aggiunto delle costruzioni ha invece mostrato una diminuzione (-0,4% rispetto al trimestre precedente) mentre quello dei servizi è aumentato dello 0,4%, in lieve decelerazione rispetto al primo trimestre (+0,6%).
Insomma, non un miracolo da boom economico ma comunque un sentiero di crescita che, se mantenuto, può gettare i semi per qualcosa di più sostenuto. Già, il problema sta però in cosa deciderà la Bce domani. E, soprattutto, in caso di rilancio dell’impegno nella monetizzazione del debito, sovrano e corporate, nella reazione della Bundesbank, essendo questa l’ultima riunione del board prima del voto tedesco del 24 settembre prossimo: se sarà Qe senza una fine definita, cosa metteranno in campo Cdu-Csu e Spd per blandire i loro cittadini, i quali tutto vogliono tranne una mutualizzazione de facto del debito di quelle cicale di italiani, spagnoli e portoghesi?
Anche in questo caso, ci sarà poco da attendere, al netto del vantaggio della Merkel non più plebiscitario, soprattutto dopo il primo dibattito tv di domenica e della tentazione della Spd di stare all’opposizione in caso di sconfitta e non proseguire l’esperienza della Grosse Koalition.
Ma c’è un rovescio della medaglia, rispetto allo stato di salute della nostra economia. Un qualcosa che rende ancora più cupa la prospettiva di una Bce che provi l’azzardo, gettando la pallina nel campo della Fed: in gergo, si dice mettere l’avversario nelle condizioni di dover afferrare per forza un coltello che sta cadendo. A porsi qualche domande retorica sullo stato dell’arte è Confcommercio e lo fa attraverso il suo misuratore più temibile, il Misery Index: a fronte di ripresa che c’è, Pil in risalita oltre le attese del governo e fiducia in ripresa da parte di consumatori e imprenditori, possiamo davvero dire che va tutto bene? No, perché a parte la disoccupazione giovanile che langue su vertici record ormai cronicamente, sale anche il disagio sociale. Ovvero, il male non oscuro della carne viva del Paese.
A luglio, il Misery Index si è attestato su un valore stimato di 18,4 punti, in aumento di 3 decimi di punto rispetto a giugno, mese in cui si è registrato il valore più basso dall’aprile 2016. L’andamento è la sintesi della stabilità dei prezzi dei beni e servizi più acquistati a luglio e di un aumento, due decimi di punto, della disoccupazione estesa. Per Confcommercio, “la presenza di un’area del disagio sociale ancora molto ampia, rappresenta uno degli elementi che porta a valutare con una certa prudenza il quadro congiunturale. I molti elementi positivi emersi nei periodi più recenti potrebbero, infatti, subire un’attenuazione in assenza di dinamiche occupazionali più sostenute rispetto alle attuali”.
Ma non basta. La Confcommercio, dati alla mano, ricorda che a luglio 2017 il tasso di disoccupazione ufficiale si è attestato all’11,3% (11,2% a giugno): il dato riflette un miglioramento sul versante degli occupati e un peggioramento dal lato dei disoccupati. Il numero di persone in cerca di lavoro è aumentato di 61mila unità su base mensile e diminuito di 17mila unità rispetto a dodici mesi prima, mentre nello stesso mese il numero di occupati è aumentato di 59mila unità rispetto a giugno e di 294mila unità nei confronti di luglio del 2016. E ancora: segnali che Confcommercio definisce “lievemente meno favorevoli, rispetto ai mesi precedenti”, sono emersi invece a luglio dalla cassa integrazione. Il ridimensionamento del 22,4% su base annua delle ore autorizzate (-41,8% nei primi sette mesi) si è tradotto in un aumento delle ore di Cig effettivamente utilizzate — destagionalizzate e ricondotte a Ula — di 24mila unità su base mensile e in una diminuzione di 5mila unità su base annua (-47mila a giugno).
C’è poi il fronte dei cosiddetti “scoraggiati”, ovvero chi ha perso la speranza di trovare un lavoro e non lo cerca più: 2mila unità in meno su base mensile e 94mila su base annua. Il combinarsi di queste due dinamiche ha portato a un aumento di due decimi di punto, in termini congiunturali, del tasso di disoccupazione esteso e a una diminuzione di sei decimi nel confronto su base annua.
Ma, in cauda venenum, ecco cosa deve farci preoccupare: l’ufficio economico di Confcommercio, infatti, non ha perso tempo nel leggere e valutare la nota sull’andamento economico dell’Italia diffusa dall’Istat e il sunto che ne ha fatto è questo: “Il Pil accelera ma i consumi decelerano. Se da un lato la dinamica della nostra economia si sta rinforzando, dall’altro i consumi registrano sì una variazione positiva ma in rallentamento rispetto al trimestre precedente”. Perché? “A frenare la spesa è un potere d’acquisto che si indebolisce rispetto agli anni precedenti. A pesare è l’effetto dell’aumento dell’inflazione”. Inoltre, per Confesercenti la spesa delle famiglie è “ancora al di sotto dei livelli del 2007 ed un gap di circa 36 miliardi da colmare, per il quale bisognerà aspettare almeno il 2019: oltre dieci anni perduti”.
Abbiamo — anzi, hanno le famiglie italiane — tutto quel tempo? No. E attenti, perché se la Bce confermerà il suo impegno monetarista, certamente continueremo a vedere dati del Pil e dell’export che migliorano ma questo, per una logica che è da terza media, significa nessuna possibile ipotesi di aumento dei tassi, l’arma primaria contro l’inflazione in eccesso. E il potere d’acquisto degli italiani, eroso proprio dall’inflazione, come dice Confcommercio, che fine farà? E i consumi, dinamo della ripresa? Eccoci all’approccio, sempre più veloce, con la realtà disarticolata e a macchia di leopardo del Qe nell’insieme dell’economia europea: se infatti i tassi negativi comprimono i margini delle banche tedesche, la dinamica di valutazione inflazionistica della Bce — quella che indirizza le politiche da scegliere — non è la stessa che calcola implicitamente l’inflazione reale italiana, per il semplice fatto che l’Eurotower ragiona sul blocco eurozona e non calcola le dinamiche salariali dei vari Paesi, quanto mai agli antipodi tra loro.
Insomma, se non si comincia assumere con contratti e salari decenti, mettendo realmente nelle tasche degli italiani soldi da spendere, il governo può lisciarsi le penne quanto vuole con il dato del Pil ma il Misery Index di Confcommercio continuerà a salire, come le valutazioni sui consumi. Pensano che il pannicello caldo del reddito di inclusione frenerà quella dinamica e, magari, ne invertirà la rotta a partire dall’anno prossimo? Beati loro: quei soldi, per chi e se mai li riceverà, sono già bruciati in bollette arretrate, Equitalia, debiti. Basta vedere i dati relativi all’indebitamento privato, basti andare in qualsiasi filiale di banca per osservare che la principale attività da qui a ottobre saranno le telefonate tipo stalker per chiedere il rientro dagli sconfinamenti estivi, altro che soldi in busta paga. Le realtà economiche della Bce, del governo e della gente non combaciano, anzi divergono pressoché del tutto. Quindi, attenti a gioire troppo domani, se Draghi confermerà che si continua a stampare. Non sempre il Pil dice la verità sullo stato di salute di un Paese. Certamente, non questa volta. Occorre agire sul cuneo fiscale con una manovra shock, altro non serve. Nemmeno il Qe.